Spesso rimaniamo incastrati in alcuni tipi di dinamiche che, alla lunga, rischiano di rovinare la nostra vita relazionale. Sono meccanismi piuttosto comuni che ci rendono incapaci in modo sano e pieno i nostri rapporti con gli altri.
Queste trappole mentali possono innescarsi in situazioni di tipo amicale, con le persone che ci sono più vicine, causando disagio e sofferenze. Ma è soprattutto nell’ambito amoroso che queste dinamiche diventano esplosive.
Ti prego, riempi il mio vuoto
In alcune coppie, si verifica una dinamica di questo tipo:
Io voglio prendermi completamente cura di te. Voglio con tutto me stesso renderti felice, farti sentire amato e protetto, coccolato. Mi impegno e investo tutte le mie energie per ottenere questo scopo e, nel farlo, tento di essere proprio come tu vuoi. O meglio, come penso che tu mi vorresti. Tendo la mano verso di te, provo a darti aiuto e soccorso in ogni situazione.
E baso il nostro rapporto interamente su questo: tutto quello che desidero, dal più profondo del mio cuore, è che tu faccia lo stesso e ti prenda cura di me.
Quando si è in coppia, è normale desiderare l’affetto, la comprensione, le attenzioni del proprio partner. Non c’è nulla di strano in questo.
Ma qui siamo di fronte a qualcos’altro.
Quello che sto manifestando con questo tipo di comportamento è un forte senso di mancanza. Porto dentro di me una ferita sanguinante che chiedo a te di guarire. Un’angoscia terribile che chiedo a te di risolvere. Un profondo vuoto emotivo che chiedo a te di colmare.
Quello che voglio è che tu mi salvi.
Purtroppo, nella maggioranza dei casi, questo tipo di dinamica porta al fallimento della relazione con il partner. Col passare del tempo, infatti, io mi rendo conto di non riuscire davvero a darti tutto. Non mi sento all’altezza del compito che mi sono dato. Contemporaneamente, sento montare rabbia e frustrazione perché, dal mio punto di vista, tu non sei in grado di darmi quello che mi sarei aspettato, quella cura di cui sento un bisogno enorme.
Finisco col convincermi che tra noi non può funzionare perché tu sei la persona sbagliata. Non sei quello che cerco davvero. Meglio finirla qui, interrompere il rapporto. Dopo esserci lasciati, incontrerò qualcun altro e comincerò una nuova relazione amorosa, pensando che le cose possano andare in modo diverso. Dopo un po’, però, si innescherà lo stesso meccanismo che abbiamo visto in precedenza.
Potrebbe allora cominciare a farsi strada il sospetto che c’è qualcosa che non va. E che quello sbagliato non è il partner, ma il tipo di dinamica che instauro con lui/lei.
L’amore adulto e la relazione genitore-bambino
Per spiegare questa dinamica, prendiamo a prestito alcuni concetti dalla psicologia transazionale.
La questione centrale è che una relazione amorosa sana dovrebbe avere come proprio fondamento un rapporto adulto-adulto, cioè un rapporto tra due persone adulte e mature che, prima di tutto, siano in grado di prendersi cura di sé stesse, senza dover chiedere costantemente aiuto all’altro, delegando a lui o lei il proprio benessere.
Il senso profondo dello stare in coppia dovrebbe essere l’apertura verso un orizzonte nuovo e ignoto, verso l’altro che è il diverso.
Il problema sorge nel momento in cui l’assetto adulto-adulto viene meno. L’equilibrio della relazione si sposta verso un assetto genitore-bambino. È come se invitassimo il nostro partner a giocare con noi a mamma e figlio o papà e figlia, interpretando talvolta il ruolo del genitore, che assume su di sé la responsabilità e il dovere della cura dell’altro, e in altri casi quello del figlio, che si aspetta di essere accudito.
Di fatto, mi metto nella posizione per cui faccio da padre o da madre al mio partner perché mi aspetto che lui faccia lo stesso con me. Desidero, a livello inconscio, che lui o lei si comporti nei miei confronti come farebbe con un figlio, un bambino piccolo che non è in grado di farcela da solo e dipende totalmente dall’adulto.
Nel mio partner cerco un genitore.
Le cause del vuoto emotivo
Il vuoto emotivo e la dinamica che ne consegue e che abbiamo appena descritto possono essere ricondotti a un trauma subito nell’infanzia.
Quando siamo molto piccoli, non abbiamo alcuna capacità di badare a noi stessi. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a crescere, sia dal punto di vista materiale che da quello affettivo. Dobbiamo essere sfamati, scaldati, tenuti al riparo. E allo stesso tempo, dobbiamo essere protetti e rassicurati rispetto a ciò che ci spaventa o non riusciamo a comprendere.
Abbiamo bisogno di sostegno e amore per poterci lentamente svincolare e andare verso l’indipendenza e la piena autonomia.
Le nostre figure di riferimento, cioè i nostri genitori o coloro che si occupano di noi al posto loro hanno il compito di aiutarci a costruire il nostro sé autonomo.
Lungo questo percorso, però, possono intervenire delle situazioni traumatiche che impediscono il processo di differenziazione dalla propria figura di riferimento. Può accadere, per esempio, che il genitore non sia in grado di prendersi cura del proprio bambino, che il suo comportamento non lo faccia sentire amato e desiderato.
In alcuni casi, potremmo trovarci di fronte anche a un genitore abusante, che maltratta il proprio figlio, sottoponendolo a continue svalutazioni, insulti, arrivando fino alle percosse.
Il bambino subisce un trauma, che lo condiziona nel suo sviluppo e apre dentro di lui una voragine, un vuoto affettivo.
La conseguenza è che quel bambino, una volta cresciuto e divenuto adulto, cercherà di riempire quel vuoto attraverso l’amore del proprio partner. A livello inconscio, cercherà di compensare quel che non ha avuto durante la propria infanzia, chiedendolo alla persona amata. Riverserà sulla relazione di coppia, le mancanze del rapporto avuto con i propri genitori.
A parlare è il bambino ferito dentro di me. Quel bambino che desidera soltanto di essere accudito nel modo più giusto, che ha bisogno di sentirsi visto e amato.
Ma la persona che si deve prendere cura di lui, in realtà, sono proprio io.
Il partner, fidanzato, coniuge non può in alcun modo colmare il vuoto affettivo che sento e che dipende dalla sofferenza che ho patito quando ero piccolo.
Jacques Lacan, grande psicanalista e filosofo francese, diceva che siamo tutti profondamente orfani. Nessuno può salvarci, tirarci fuori dal nostro baratro personale.
Ma l’angoscia che sentiamo non è un male. È una chiamata, una via d’accesso verso il doppiofondo dell’anima e i nostri bisogni più veri. Non possiamo delegare ad altri la cura. Dobbiamo riuscire a diventare i genitori di noi stessi.