Due anni fa, il 18 maggio del 2021, i giornali battevano la notizia della scomparsa di Franco Battiato, indimenticabile artista a tutto tondo, musicista e cantautore, che con le sue canzoni ha accompagnato più di una generazione, attraversando generi e stili, sperimentando come soltanto un vero avanguardista sa fare.
Vorrei ricordare la sua figura con questo articolo, che tratterà la sua opera in chiave psicologica e psicoterapeutica. Credo, infatti, senza timore di smentita, che Franco Battiato si sia preso cura dell’essere umano, cercando di comunicare con la sua musica tutta una serie di messaggi profondamente spirituali.
La sua arte è impregnata di questi contenuti dal fortissimo potere terapeutico che, grazie alla sapiente combinazione di musica e parole, vengono trasmessi direttamente alla nostra parte più profonda, toccando il nostro inconscio.
Gli elementi che rileviamo in questi testi vengono soprattutto dalla cultura buddhista e tibetana. Ma riusciamo a cogliere anche riferimenti alla riflessione filosofica, in particolare quella di matrice orientale, oltre che ad altri filoni di pensiero.
Battiato come il maestro Gurdjieff e Jorodowsky: comunicare all’inconscio
Ascoltando le canzoni di Battiato e leggendone i testi, si ha la netta impressione che per trasmettere quei messaggi di natura spirituale ed esoterica, Battiato abbia utilizzato modalità comunicative affini a quelle impiegate da un grande maestro e pensatore: l’armeno Georges Ivanovič Gurdjieff, filosofo, scrittore e mistico, oltre che musicista e maestro di danze, vissuto tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento.
Gurdjieff e l’enneagramma: superare le barriere dell’Io
Gli insegnamenti di Gurdjieff mescolano e combinano in modo sincretico il sufismo di matrice islamica con diverse altre tradizioni e credi religiosi come il cristianesimo, l’ebraismo, l’induismo e il sickhismo, con la filosofia e le dottrine esoteriche, allo scopo di risvegliare la coscienza ed espandere la consapevolezza.
Per trasmettere quest’insieme di conoscenze, il grande maestro Gurdjieff utilizzava una vasta serie di strumenti comunicativi, tra i quali annoveriamo gli enneagrammi, capaci di racchiudere al proprio interno elementi di varia natura: alchemici, cabalistici ed esoterici.
Egli considerava l’enneagtramma un potentissimo strumento di conoscenza di sé e del mondo, capace di descrivere l’ordine cosmico e tutti i processi che avvengono in natura, dal più piccolo al più grande.
Ma cos’è un enneagramma?
L’enneagramma (dal greco “ennea” cioè nove e grammean che significa “segno”) è un simbolo geometrico formato da una circonferenza che comprende al suo interno un triangolo equilatero. Tale triangolo, a sua volta, interseca una figura a sei lati.
Il risultato di questa composizione è una forma suddivisa in nove parti uguali tra lor, numerate in senso crescente dall’uno al nove.
Questo numero – il nove (9) – viene utilizzato sia in ambito esoterico che in quello psicologico.
In alcuni casi, Gurdjieff componeva i suoi enneagrammi in modo apparentemente casuale, inserendo diversi elementi di conoscenza nelle sezioni senza che vi fosse un ordine logico immediatamente comprensibile.
Questo stesso modo di procedere ci riporta con la mente ai primi esoteristi, che compaiono durante il Medioevo. Essi erano costretti a esprimersi attraverso un linguaggio oscuro e criptico per trasmettere le proprie conoscenze spirituali in modo da essere compresi soltanto dagli adepti, sfuggendo così alla persecuzione. I loro messaggi erano in codice, cifrati, cosicché se fossero stati intercettati dalle persone sbagliate, non se ne sarebbe compreso il senso e il contenuto.
Gurdjieff, però, non usava l’enneagramma per sottrarsi alla censura politico o religiosa. Il suo scopo piuttosto era quello di proiettarsi oltre le barriere erette dalle strutture mentali coscienti, penetrando nella psiche e arrivando a comunicare direttamente con la parte più profonda di noi, cioè con l’inconscio.
Chi guarda l’enneagramma, vede soltanto una figura di cui non riesce a cogliere il significato. A livello consapevole, non sembra dirci nulla. Ma il contenuto di quell’immagine ha la capacità di superare la censura dell’Io e di depositarsi nell’inconscio.
Nelle sue canzoni, nei testi che scrive, Battiato utilizza questo stesso linguaggio, queste tecniche comunicative di grande impatto.
La psicomagia di Jorodoswky
Prima di addentrarci nell’analisi dell’opera del grande cantautore, vorrei introdurre un’altra figura di grande importanza: Alejandro Jodorowsky Prullansky, ideatore della psicomagia, una forma di terapia che rovescia i presupposti della psicanalisi, aiutando l’individuo a guarire attraverso l’uso di tecniche che attingono allo sciamanesimo.
Riprendendo un aforisma di Freud, padre della psicanalisi, potremmo dire che psicoterapia classica (o tradizionale) porta l’inconscio alla coscienza. Quando si intraprende un percorso di questo genere, ci si trova a lavorare sui sogni, sui lapsus o anche su particolari associazioni mentali o di pensiero – tutti elementi dell’inconscio che vengono riportati all’Io, alla sfera cosciente, che funziona sul piano logico-formale.
Jorodowsky non fa nulla di tutto ciò. Anzi, parte da presupposti completamente opposti, comunicando con elementi che appartengono alla sfera dell’inconscio. Si tratta di elementi irrazionali, fuori dal campo della razionalità.
Egli, infatti, propone al paziente di mettere in atto delle operazioni che – in apparenza – sono del tutto prive di logica. Sono quasi dei rituali capaci di esercitare un impatto potentissimo sull’individuo, di scuoterlo da dentro, di indurlo a guardare la realtà con altri occhi, da una prospettiva del tutto diversa.
Jodorowsky non spiega l’inconscio. Comunica direttamente esso attraverso la psicomagia.
Per comprendere meglio cosa intendo, farò un piccolo esempio.
Un caso trattato da Jodorowsky fu quello di una donna tormentata da ideazioni suicidarie. Aveva perso completamente la voglia di vivere, sentiva che non c’era assolutamente nulla per cui valesse la pena stare al mondo. La donna raccontò di aver sempre avuto un pessimo rapporto con il padre, che si era ucciso quando lei era soltanto una ragazzina di 12 anni.
Jodorowsky, però, non indagò oltre sul passato della paziente, ma le prescrisse questo atto psicomagico.
La donna doveva recarsi in una residenza per anziani dopo aver acquistato una dozzina di belle arance. Avrebbe dovuto regalare quei frutti succosi a dodici persone diverse, dedicando a ciascuna di loro dodici minuti del proprio tempo, parlando con loro e ascoltandole.
Subito dopo, avrebbe dovuto sedersi sui gradini del sagrato di una chiesa e mangiare lei stessa un’arancia, impiegando esattamente dodici minuti.
La donna cercò di dare una serie di interpretazioni simboliche di quel numero, il dodici, e di quel frutto, le arance.
Ma non bisogna andare così distante per comprendere cosa intendesse comunicarle Jodorosky prescrivendole quell’atto psicomagico. Il suo intento era quello di farle comprendere, in modo immediato, che aveva bisogno di rallentare, di prendersi tempo per assaporare lentamente la vita e godersela, un morso alla volta.
Lo aveva fatto comunicando non alla sua mente cosciente, ma al suo stomaco e al suo inconscio.
Contenuti spirituali nelle canzoni di Franco Battiato
Lungo tutta la sua produzione musicale, Battiato sembra utilizzare tecniche molto simili a quello che ti ho appena illustrato. Leggendo i testi, spesso, si ha l’impressione che non abbiano capo né coda, che non siano altro che un minestrone, un’accozzaglia di citazioni e riferimenti colti messi insieme in modo casuale, quasi per far sfoggio di cultura.
Ma basta guardare oltre la superficie per rendersi conto che stiamo ascoltando dei messaggi non strutturati che parlano alla nostra parte meno razionale.
Shock in my town: gli shock addizionali di Gurdjieff
Prendiamo, per esempio, il testo di “Shock in my town”:
“Latenti shock (shock addizionali, shock addizionali)
Sveglia Kundalini (sveglia Kundalini, sveglia Kundalini)
Per scappare via dalla paranoia”
Gli shock addizionali di cui parla Battiato nella sua canzone “Shock in my town” fanno riferimento a uno degli insegnamenti portanti di Gurdjieff. Si tratta di quegli sforzi che facciamo per non lasciarci andare alla pigrizia e al grigiore dell’abitudine, per non permettere che la nostra volontà si pieghi, reperendo dentro di noi delle energie più profonde.
E ti vengo a cercare: l’importanza della Presenza
Passiamo a “E ti vengo a cercare”, altro capolavoro intramontabile:
“E ti vengo a cercare
Anche solo per vederti o parlare
Perché ho bisogno della tua presenza
Per capire meglio la mia essenza”
Dal testo di questa canzone emergono elementi esoterici di grande forza. Battiato ci sta dicendo che il contenuto dei discorsi, le parole non hanno alcun valore effettivo. Ciò che conta, nell’incontro con l’altro, è la presenza nel silenzio. Con queste poche strofe il maestro ci sta aiutando a capire che ciò che conta davvero di una persona è la sua presenza, che va al di là del contenuto o della forma-pensiero.
Nell’Amore vero – ci dice sempre Battiato – dobbiamo cercare l’Essere al di là delle forme sensibili, di ciò che è concreto, tangibile e visibile.
“La Cura” di Battiato come cura dell’umanità intera
Prendiamo, infine, una delle sue canzoni più note, ascoltate e dedicate alla persona amata: “La cura”
A chi è dedicata in verità?
Anche ascoltandola molto attentamente, non si riesce a identificare un destinatario preciso di quelle parole sublimi.
Battiato sta parlando della cura di sé, dell’altro, dell’umanità intera, una cura che trascende le dimensioni dello spazio e del tempo (“Supererò le correnti gravitazionali/ Lo spazio e la luce per non farti invecchiare) perché l’Essere è senza tempo, è eterno presente, che non invecchia mai.
A livello conscio, non riusciamo ad afferrare.
Ma la musica ci travolge e quelle parole scendono dentro di noi, dove sedimentano.
L’ombra della luce e il Bardo, tra inconsapevolezza e piena presenza
Vorrei riservare un’ultima riflessione a un’altra straordinaria canzone di Battiato: “L’ombra della luce”
Sappiamo che il grande cantautore era un vero esperto del Bardo Tibetano o libro dei morti tibetano, un testo prezioso, considerato un tesoro nascosto dagli stessi buddhisti. In una strofa de “L’ombra della luce”, egli fa riferimento proprio a questo libro.
“Difendimi dalle forze contrarie
La notte, nel sonno, quando non sono cosciente
Quando il mio percorso si fa incerto
E non abbandonarmi mai
Non mi abbandonare mai”
Nel rituale tibetano di accompagnamento alla morte, esiste una pratica particolare: quella di sussurrare nell’orecchio della persona morente per agevolare il suo passaggio da questo mondo all’altro, dalla vita alla dimensione della morte.
Quello spazio, quell’intervallo di tempo tra la scomparsa dell’individuo e la sua rinascita è il Bardo.
Le formule che vengono sussurrate nell’orecchio della persona che sta morendo hanno la funzione di aiutarla a sfuggire all’eterno ciclo della reincarnazione – il samsara – per proiettarsi verso l’illuminazione del Nirvana.
Nella strofa che ho citato poco sopra, Battiato fa una specie di invocazione, parlando della notte e del sonno. Ma ciò a cui fa riferimento è il sonno dell’anima, il buio che avvolge il nostro spirito quando non siamo desti e consapevoli, quando ci lasciamo dominare da forze più basse.
Durante la nostra vita quotidiana, in tanti momenti della giornata, noi siamo nel Bardo. Dimoriamo in quello spazio oscuro tra l’ombra e la luce, tra l’incosapevolezza e la presenza piena che corrisponde all’essere coscienti che noi siamo l’osservatore dei pensieri, non i pensieri stessi.
Quando parliamo di presenza, facciamo riferimento a una dimensione altra, che è al di là delle parole, del contenuto, del pensiero, della realtà materiale.
Lo stesso Buddha, gigantesco maestro spirituale, si domandava come trasmettere certi insegnamenti, qualcosa che va al di là delle parole, attraverso il discorso, il verbale.
Battiato lo fa con la musica.
Le parole delle canzoni indicano una via, sono la strada per raggiungere qualcos’altro. Insieme alla musica, possono creare dei veri momenti di illuminazione, di trascendenza.
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