Salve a tutti, in questa riflessione psicoanalitica sul Vangelo, analizzeremo i potentissimi insegnamenti offerti da Gesù nell’episodio dell’Orto del Getsemani. Vedremo anche gli incredibili parallelismi tra il passo del Vangelo in questione e la pratica clinica in psicoterapia.

Grazie di cuore a tutti quelli che si stanno iscrivendo, addentriamoci subito nel vivo dell’argomento.

Gesù insegna con l’esempio oltre che con la parola

Nel commovente episodio dell’orto del Getsemani, il maestro dei maestri ci insegna a gestire l’impatto con le prove più dure della vita, ci insegna a trascendere la solitudine, il tradimento e la paura della morte.

Estremamente significativo risulta considerare inoltre come da questo momento in poi fino al momento della sua morte, Gesù smetterà di insegnare attraverso la parola e comincerà a farlo con l’esempio perfettamente coerente del proprio comportamento.

Non basta, infatti, che un maestro offra teorie e dottrine. Egli è soprattutto chiamato a portare la più incisiva testimonianza del proprio esempio di vita.

In questo atteggiamento possiamo rintracciare un primo parallelismo con la pratica psicoterapica: nella fase iniziale del percorso, i disagi del paziente vengono definiti, analizzati, ne viene compresa l’origine, se ne considerano gli effetti e la risoluzione.

Ma questa è solo una preparazione astratta a ciò che seguirà poi.

Durante il processo del transfert, il paziente metterà in scena, agirà concretamente il proprio demone interiore, nel qui e ora della relazione, scatenerà ad esempio moti di gelosia, rabbia, paranoia o narcisismo.

Naturalmente, la buona riuscita del percorso dipenderà dalla capacità del terapeuta di affrontare concretamente tale messa alla prova.

Umanità e grandezza di Gesù

“Allora Gesù andò con loro in un podere chiamato Getsemani e disse ai discepoli:

“Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare” E persi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: “ La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate con me”. E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice. Però non come voglio io, ma come vuoi tu”.

Poi tornò ai discepoli e li trovò che dormivano e disse a Pietro: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.

Risulta estremamente istruttivo come Gesù, un maestro giunto al massimo grado della consapevolezza, un Avatar illuminato, provi tristezza e angoscia. Tale riscontro ci fa comprendere come l’obiettivo di un percorso di psicoterapia, l’obiettivo di un percorso spirituale, non consista mai nel tentativo di eliminare l’angoscia dalla vita, tutt’altro.

Occorre piuttosto comprendere come l’angoscia costituisca un varco privilegiato verso l’autenticità, verso la cura del nostro mondo interiore.

Questo è esattamente l’atteggiamento seguito da Gesù.

Egli risponde alla chiamata dell’angoscia, senza negare, senza distrarsi, ma andandole incontro con il raccoglimento e la preghiera.  In tale momento, Gesù sa bene che il momento della sua prigionia e dei suoi tormenti è imminente. Risulta fondamentale notare come egli, innanzi a tale crisi, non cerchi nessuna difesa concreta ma si rifugia piuttosto nella meditazione, nel contatto con il divino e con il suo proprio sé profondo.

Coerentemente con i suoi insegnamenti, Gesù non cerca una soluzione nel mondo materiale, ma nella profondità del proprio mondo interiore.

Tale approccio coincide con quello messo in gioco dal terapeuta nella pratica del proprio lavoro.

Davanti a chi cerchi di riempire un vuoto emotivo attraverso il cibo, a chi tenti di trovare sollievo in una qualche sostanza, a chi speri di raggiungere la felicità attraverso una relazione amorosa, il terapeuta ribadisce una medesima lezione: le diverse soluzioni esterne non faranno che farci ammalare sempre più profondamente.

Solamente le risorse interiori sapranno trarci davvero in salvo.

Particolarmente significativo risulta notare come in un momento di sofferenza Gesù faccia appello ai suoi discepoli chiedendo loro di pregare insieme a lui. Davanti al dolore e all’angoscia, Gesù non si chiude in sé stesso, ma chiede umilmente vicinanza spirituale.

Egli non nega, non nasconde ma esprime in modo semplice e diretto le proprie emozioni e le proprie fragilità.

“Il mio cuore è triste fino alla morte” dichiara agli amici e discepoli.

Affrontare insieme l’angoscia: scegliere di chiedere aiuto a chi ci sta vicino

Inoltre, saggiamente propone loro di affrontare insieme l’angoscia. Il terapeuta assume lo stesso atteggiamento per aiutare il paziente in crisi, lo sprona a non rimuovere, a non negare le proprie emozioni.

Lo incita invece a esprimerle liberamente, lo spinge poi a non isolarsi ma piuttosto a nutrire e valorizzare la propria rete sociale.

I traumi del passato possono bloccare il nostro processo di guarigione

In relazione alla frase in cui Gesù afferma che “Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”, occorre osservare che tale affermazione trovi riscontro nei più moderni studi di neurofisiologia applicati alla terapia, i quali dimostrano come al disturbo mentale corrisponda anche uno squilibrio del corpo sottile composto da diversi piani biochimici, che coinvolgono grosse masse neurali, neurotrasmettitori e ormoni.

Per cui sappiamo che anche se un paziente comprende perfettamente l’origine della propria inquietudine, comprende anche quale sia la strada della salute, a volte non riesce subito a seguirla. Perché il suo corpo è debole, perché i traumi del passato si sono ormai condensati in solchi neurali disadattivi e obsoleti.

È per questo che Gesù invita alla preghiera.

Sappiamo come la preghiera costituisca una forma di meditazione molto potente, la quale agisce in modo molto potente sul nostro corpo sottile, sul substrato organico della nostra mente.

Dinnanzi alla scena dei discepoli addormentati, Gesù dimostra di comprendere come la sola adesione a una dottrina non basti per rimanere vigili nello spirito. Egli sa come tanti falsi apprendimenti depositati nel corpo interferiscano con la presenza spirituale.

“E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare da me, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. E tornato di nuovo, trovò i suoi che dormivano perché gli occhi loro si erano appesantiti. E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole.

Poi si avvicinò ai discepoli dicendo loro “Dormite oramai e riposate, ecco è giunta l’ora nella quale il figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori”.

Questo passo risulta uno dei più belli, potenti e terapeutici di tutto il Vangelo: Gesù qui offre l’altissimo insegnamento della resa all’universo, a Dio, alla necessità, al darsi della realtà presente. Il presente infatti è sempre così come già è e colui che lo accetta sarà amico della vita e parteciperà della sua energia.

Mentre colui che non lo accoglie cadrà invece nella lotta, nella lamentela, nella stanchezza, nella malattia.

L’angoscia necessaria all’evoluzione psicologica

Per tali ragioni, il terapeuta attribuisce grande importanza all’accettazione dell’inquietudine e cerca con ogni mezzo di promuoverla nel lavoro clinico.

Egli sa bene come senza tale fattore risulti impossibile qualsiasi evoluzione psicologica.

L’angoscia non accettata si tramuta in attacco di panico, così come qualsiasi disagio non accettato e rimosso, tornerà dolorosamente sotto forma di sintomo. Occorre comprendere come il disagio non sia altro che la voce del nostro mondo interiore che ci mette in contatto con le nostre esigenze più profonde.

Per tale motivo, solamente accogliendo il disagio e portandolo a valore, il paziente può accedere a una maggiore evoluzione psicologica.

L’accettazione e la preghiera della Serenità

Non è un caso che nel Vangelo di Luca, non appena Gesù accetta la volontà del padre, subito scenda a lui dal celo un Angelo consolatore. In senso psichico, l’Angelo rappresenta le funzioni superiori dell’Io, alle quali è possibile accedere solo attraverso la pace dell’accettazione e della resa. In relazione all’argomento, risulta significativo ricordare la celebre preghiera della Serenità, meglio conosciuta in ambito clinico come “la preghiera degli Alcolisti Anonimi”.

Essa testimonia come il processo dell’accettazione costituisca un punto di incontro profondo tra la cultura cristiana e la psicoterapia.

La preghiera recita così: “Signore concedimi la forza e il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare; la serenità di accettare quello che non posso cambiare; e la saggezza di conoscerne la differenza”.

L’altro non sarà mai la nostra salvezza

Gli occhi pesanti, il torpore e il sonno manifestati dai discepoli rappresentano un quadro sintomatologico depressivo.

Davanti al dolore, solo il maestro rimane lucido, desto e consapevole mentre i discepoli, più fragili, sono invasi da sintomi e sistemi di difesa primitivi basati sull’evitamento attraverso il sonno.

Anche dopo numerosi richiami da parte di Gesù, i discepoli continuano a dormire. Ed è proprio in relazione a questa mancanza, a questi limiti dimostrati dai discepoli, che Gesù ci mostra un ulteriore insegnamento terapeutico: la capacità di trascendere l’offesa e il giudizio.

Gesù, colto da profonda angoscia, chiede ai discepoli di vegliare con lui, ma essi nonostante diversi richiami del maestro, si addormentato tutti, lasciandolo solo nel suo dolore.

Ma egli comprende i loro limiti, non si offende, non li giudica e conclude anzi l’episodio con parole gentili: “Dormite pure e riposatevi”.

In tal senso, è utile meditare sulla seguente riflessione. Nei racconti dei miei pazienti, emerge un copione ridondante. Il titolo del copione è il seguente: è nei momenti difficili che capisci chi è davvero amico.

Mentre la trama è più o meno la seguente.

Il soggetto vive una crisi estrema che riguarda sovente una malattia importante o un lutto e si accorge, con meraviglia e sgomento, che i suoi amici più cari e i parenti non gli sono vicini come si sarebbe aspettato. Dopodiché il protagonista chiude per sempre la relazione con queste persone e tale evento rimarrà una fonte di dolore per tutto il resto della vita.

In tal senso, occorre comprendere come l’individuo che affronti una crisi esistenziale estrema, tenda a regredire.

In tale regressione, egli desidera inconsciamente di essere salvato dalle persone care. In questa dimensione, la persona tende a idealizzare amici e parenti, immagina di poter ricevere aiuto, sostegno e vicinanza illimitati e quando si accorge che queste sue fantasie non coincidono con la realtà, rimane delusa, arrabbiata e offesa.

Ovviamente, attraverso tale processo, al dolore della crisi si aggiunge anche il dolore del fallimento relazionale.

L’esempio di Gesù e il lavoro del terapeuta ribattono su un medesimo concetto ovvero sull’accettazione del fatto che non sarà mai una persona, per quanto cara, a poterci salvare.

L’altro non sarà mai così come abbiamo bisogno che sia.

Dobbiamo accettare che l’altro non corrisponde a ciò che abbiamo bisogno di proiettare su di lui. Dobbiamo lasciare l’altro libero di essere l’altro finché non interiorizzeremo la consapevolezza di essere connessi col Sé universale, con l’Essere al di là delle forme.

Nessuna persona per quanto vicina potrà sottrarci alla morsa della solitudine e del senso di abbandono.

Possiamo far nostro allora l’insegnamento di Gesù, che non si arrabbia affatto con gli amici dormienti ma trova il proprio conforto, il proprio Angelo consolatore andando più in profondità all’interno del proprio mondo interiore. Gesù chiede vicinanza emotiva ma allo stesso tempo trova conforto nel proprio sé profondo, nella meditazione, nel raccoglimento.

Tale atteggiamento non rappresenta affatto una contraddizione, al contrario indica la capacità di unire gli opposti, il superamento della dualità tra il dentro e il fuori.

Il grande maestro si apre agli amici, chiede loro vicinanza ma accetta anche i loro limiti e non rimane preda di aspettative proiettive.

Non cade quindi nei legacci della dipendenza ma neanche nella chiusura della controdipendenza.

Egli supera i limiti della separazione egoica e rimane connesso e in pace con tutto e tutti attraverso il varco del proprio mondo interiore. Egli ci aiuta a comprendere come non vi sia incontro senza interiorà e come non vi sia interiorità senza incontro.

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