Il percorso psicoterapeutico funziona secondo delle costanti. Solitamente, gli incontri sono cadenzati secondo un calendario scelto insieme, fissando un giorno e un’ora per la seduta che vengono accuratamente rispettati. Questo consente di instaurare un’abitudine rassicurante, sulla quale si può costruire un rapporto di fiducia, una base sicura dalla quale procedere insieme.

Ma quando arriva l’estate, ci si trova di fronte a un’interruzione. Anche lo psicologo prende le ferie e va in vacanza. Il professionista della salute mentale, come tutti, ha bisogno di prendersi del tempo per sé e per la propria famiglia, in modo da recuperare energie, mentali e fisiche, dopo un anno di lavoro molto intenso dal punto di vista del carico emotivo.

Solitamente si tratta di un mese o un mese e mezzo, i giorni di stacco necessari dopo tante ore di psicoterapia individuale, terapia di coppiaterapia di gruppo o terapia familiare.

La cosiddetta pausa estiva, però, può rappresentare un momento di forte stress per il paziente.

L’appuntamento consueto, che ha un valore tanto benefico, viene meno. Si verifica un’interruzione all’interno della routine, che il paziente vive come un’esperienza di separazione, con tutti i sentimenti negativi che accompagnano questa condizione. Può provare tristezza, frustrazione oppure sentirsi pieno di rabbia o ancora sperimentare un senso di abbandono.

Le ferie del terapeuta: meglio parlarne in anticipo

Talvolta, di fronte alla prospettiva dell’interruzione provvisoria delle sedute con il proprio terapeuta, il paziente ha come l’impressione di venire abbandonato proprio nel momento in cui ha più bisogno. Per questo motivo, è buona norma e regola che, prima delle ferie, psicoterapeuta e paziente discutano di questo argomento, preparandosi prima della pausa estiva.

Questo consente di definire meglio i contorni della questione, dando al paziente la possibilità di elaborarla così da non trovarsi impreparati.

In alcune situazioni particolari, il terapeuta potrebbe anche dare la possibilità al paziente di chiamarlo durante le ferie, nel caso in cui stia attraversando una crisi e abbia bisogno di un supporto, seppure a distanza.

È mia prassi consueta comunicare ai miei pazienti che, in caso di bisogno, possono alzare la cornetta e chiamarmi al telefono in modo da potersi confrontare. La disponibilità del terapeuta a lasciarsi contattare offre un grande sollievo e consente al paziente di capire che il legame si mantiene nonostante la paura estiva, anche se le sedute sono state interrotte momentaneamente.

Cattiva gestione e pericolo di drop out del paziente

 

Il momento in cui il terapeuta comunica le ferie è delicato e importante. Per questo il professionista deve essere pronto e disponibile ad affrontare la situazione di stress vissuta dal paziente, prestando la dovuta attenzione al suo stato d’animo, a quel che prova.

In questa situazione, infatti, è necessario porre il paziente nella condizione di comprendere il tipo di sentimenti sperimentati, la loro natura.

Rassicurazione, ascolto e comprensione: quando il paziente viene in psicoterapia, cerca tutto questo. Perché il percorso vada a buon fine è necessario che si instauri un legame di fiducia e rispetto reciproco e che l’altro si senta accolto e capito.

Per questo una cattiva gestione dei sentimenti che vengono alla luce nel momento della pausa estiva può causare un enorme danno all’alleanza terapeutica, scuoterla nelle sue fondamenta e arrivare persino a distruggerla in modo irrimediabile. Il rischio, allora, è quel del cosiddetto drop out cioè l’abbandono precoce della terapia.

L’occasione terapeutica dietro il problema

Come abbiamo visto, l’interruzione estiva della psicoterapia può rappresentare un momento di crisi che, se non gestito nel modo corretto, ha risvolti estremamente negativi. Il paziente, infatti, potrebbe decidere di non presentarsi più alle sedute, ponendo fine al suo percorso prima che esso sia arrivato al suo compimento naturale.

Tuttavia, questo particolare momento può avere altri risvolti ed essere letto sotto un’altra luce come una grande occasione terapeutica.

Parlare di come il paziente vive questa esperienza, infatti, può portare all’emersione di contenuti mai affrontati prima durante il percorso di psicoterapia individuale. Affrontare questo tema “scottante” può portare alla luce temi importanti, farli affiorare alla coscienza del paziente che, a quel punto, può elaborarli.

Il paziente, che si trova a confrontarsi con i sentimenti di disagio e turbamento derivati dal provvisorio distacco dal terapeuta, ha la possibilità di entrare in contatto con tutti quei contenuti che sono legati al tema della dipendenza/indipendenza, al tema della mancanza dell’altro e a quello dell’abbandono.

In questo frangente, potrebbero tornare alla memoria ricordi della propria infanzia, nascosti e sepolti per anni. Si può ripensare a quando, da bambini, si soffriva di solitudine per l’assenza dell’altro – di un genitore, della figura di attaccamento – oppure a un’esperienza di perdita, un lutto mai realmente superato se non mettendo in atto quei meccanismi di difesa che vanno sotto il nome di negazione e rimozione. Meccanismi che proteggono la nostra mente dalla sofferenza, facendo “scomparire” quello che ci fa male che, però, resta sepolto dentro di noi.

Il terapeuta ha un compito molto importante in questo senso: deve accompagnare il paziente dentro di sé, aiutarlo a comprendere quali siano le cause profonde, le radici del suo malessere, del turbamento che prova in modo spesso inconscio, non consapevole. Alla base ci sono proprio quei vissuti rimossi, quelle esperienze negative del passato che scatenano sentimenti di rabbia e tristezza, sentimenti che lui o lei proietta sul proprio terapeuta. Occorre sottolineare poi che più il paziente vive male questa momentanea separazione dovuta alle ferie estive del terapeuta e più tende a rimuovere, cercando di allontanare da sé quello che lo fa stare male, chiudendosi dietro un muro, alzando delle difese che diventano difficili da attraversare.

Sta al professionista accorgersi di questo processo in atto e aiutare il paziente a prenderne consapevolezza, facendo di quelle emozioni e di quei vissuti oggetto di dialogo e confronto, temi di riflessione comune e condivisa.

Facendo questo, si raggiunge anche un altro importante obiettivo, che consente alla terapia di procedere nella giusta direzione. Attraverso il colloquio con il terapeuta e l’analisi di quelle emozioni confuse e terribili che si sente dentro, il paziente non soltanto viene a contatto con contenuti rimossi. Ha anche l’opportunità di rendersi conto delle distorsioni messe in atto nella relazione, dei pensieri e delle emozioni che egli attribuisce all’altro.

In questo frangente, si rivela molto utile anche analizzare i sogni del paziente, spesso attraversati da immagini che ripropongono il tema dell’abbandono: navi che partono, il terapeuta che va via…

In ultimo, affrontare questo discorso, consente al terapeuta di raccogliere elementi utili alla diagnosi e alla terapia.

Diventare il terapeuta di sé stesso

La pausa estiva, il venire meno degli incontri cadenzati per un breve periodo, in realtà, non significa che il processo terapeutico si ferma, cristallizzandosi nell’ultima seduta fatta. Se la psicoterapia procede nella giusta direzione, anzi, questo può rappresentare un momento di importante metabolizzazione del processo in atto. Il paziente può reagire a questo allontanamento dal terapeuta attraverso uno dei meccanismi di difesa più sani: quello dell’identificazione.

Citando il grande psicanalista Lacan, possiamo dire che noi non possediamo un Io solido, sempre uguale a sé stesso ma siamo la somma dei nostri incontri. Il paziente, dunque, arriva a interiorizzare il terapeuta, a identificarsi con lui o lei e, in definitiva, arriva a diventare il terapeuta di sé stesso.

Egli cioè acquisendo i giusti strumenti, arriva a sviluppare un modo di pensare che è, allo stesso tempo, più complesso, sfaccettato e meno giudicante, verso di sé e verso gli altri. A questo punto, si accorge che la psicoterapia è diventata parte integrante di sé e può assumersi la responsabilità di prendersi cura di sé stesso.

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