A un primo sguardo, i disturbi alimentari sembrano causati da un rapporto distorto con il cibo o con la propria immagine corporea.

In realtà, però, occorre utilizzare un’altra chiave di lettura per comprendere l’origine di anoressia, bulimia e binge eating.

Questi disturbi, infatti, nascono dalla trasposizione inconscia dei conflitti relazionali su un piano concreto.

Tale interpretazione si applica a una vasta serie di disturbi psicologici.

Nelle fobie, per esempio, il conflitto emotivo viene “spostato” sull’oggetto fobico.

Nelle dipendenze, invece, si cerca inconsciamente di risolvere il conflitto attraverso una sostanza (alcol, droga) o un certo comportamento (gioco d’azzardo, shopping, sesso etc).

Nei disturbi alimentari, dunque, il conflitto vissuto viene spostato sul cibo, che veicola dei significati profondi.

Questo spostamento, che avviene in modo del tutto inconsapevole, è un tentativo di risolvere il problema.

Ma una questione emotiva e relazionale, appartenente al nostro mondo interiore, non può essere in alcun modo soddisfatta da un oggetto che è posto su un altro piano, quello della realtà esteriore e materiale.

Per questo, il problema permane e il disturbo si cronicizza.

Oltre il cibo. Le cause psicologiche di anoressia, bulimia e binge eating

Quindi, da cosa derivano i disturbi alimentari?

Essi rappresentano lo spostamento sul cibo di un conflitto interiore che nasce da una difficoltà relazionale con le figure primarie di riferimento cioè madre e padre.

Nei disturbi alimentari possiamo trovare anche una dimensione protomentale che riguarda la figura materna: la madre, infatti, è colei che ci dispensa il nostro primo nutrimento attraverso l’allattamento al seno.

Il legame tra figura primaria e alimentazione diventa ancora più stretto attraverso quest’esperienza fondamentale.

Anoressia, bulimia e binge eating, dunque, si spiegano in questo modo.

Però, in ciascuno di essi troviamo una componente diversa.

Anoressia. Il rifiuto del cibo come protesta contro i genitori che danno tutto

Dice Lacan che l’anoressia si instaura quando fai esperienza di una madre che ti dà soltanto quello che ha ovvero cose concrete e materiali: una casa in cui vivere, i soldi, la macchina, i vestiti, l’istruzione, i giochi, le feste, le vacanze al mare…

Quando il figlio smette di mangiare mette in atto una protesta, lancia una sorta di grido d’aiuto contro questo comportamento.

È come se volesse dire al genitore: “Basta! Io non ho bisogno soltanto di questo cibo…”

Il figlio, infatti, non ha solo la necessità di cure materiali da parte della madre e del padre, di oggetti concreti che gli riempiano l’esistenza, o di comodità.

Per il suo benessere e sviluppo sano, è necessario che il genitore si sintonizzi sui suoi bisogni interiori, donandogli uno spazio psichico.

Anoressia. Il corpo magro che rivela il bisogno di “mancanza”

Quel che non si comprende, spesso, è che un figlio ha bisogno anche del dono della mancanza e del vuoto.

In che senso?

La mancanza ha un duplice significato in questo discorso.

Da un lato, la madre deve far mancare al figlio qualcosa per innescare in lui una vita desiderante, per far nascere in lui quel desiderio che è l’elemento propulsivo dell’esistenza.

Nella mancanza, infatti, si annida la possibilità di un’evoluzione poiché in essa troviamo uno stimolo a impegnarci, a migliorarci.

Nella mancanza possiamo contattare elementi di crescita spirituale e interiore.

Ma la mancanza rappresenta anche l’angoscia esistenziale da cui siamo tutti attraversati.

Ognuno di noi ha dentro di sé un’inquietudine profonda, che non può essere coperta attraverso lo shopping, i regali o il cibo.

Il genitore non deve nascondere quell’angoscia, non deve riempire ogni spazio o momento libero per impedire al figlio di provare, di sentire quell’emozione sconvolgente.

Egli piuttosto ha il compito di aiutarlo a portare a valore quella mancanza, permettendogli di comprendere che dietro quell’angoscia c’è la chiamata all’individuazione.

Quell’angoscia è una voce che sale dal profondo e ci indica quali sono i nostri veri bisogni.

Per questo, non dobbiamo distrarci da essa, ma dobbiamo cercare di ascoltarla.

Quella mancanza, quel vuoto può spaventarci e sembrarci un demone, finché non lo guardiamo in faccia, finché non gli diamo ascolto.

Quando lo facciamo, però, ecco rivelarsi l’angelo che vuole darci un’informazione preziosa.

In una famiglia dove questa mancanza non è ammessa, dove tutto è opulenza, dove tutto è pieno, concreto, materiale, vengono meno questi elementi…

Queste sono le basi dell’anoressia, del rifiuto di mangiare da parte del figlio che, di fatto, sta proclamando ai sui genitori che non vuole quello che gli stanno dando, il cibo con cui lo stanno “ingozzando”.

In questo modo, inconsciamente, il figlio vuole far capire al genitore che ha bisogno di un altro nutrimento, di un cibo sottile.

Gesù diceva: “Non di solo pane vivrà l’uomo”.

Bulimia. Mangiare per riempire un vuoto interiore

Nella bulimia, troviamo ancora una trasposizione dei problemi interiori e relazionali con le figure primarie sul piano concreto.

Ma, in questo caso, è come se la persona – invece di fare una richiesta e protestare verso la madre e il padre – cerchi da sola di riempire dei vuoti affettivi generati da un genitore che non è in grado di amare, freddo o respingente.

Che succede, però?

Riempirsi lo stomaco non può equivalere a colmare un vuoto interiore.

La soddisfazione ottenuta ingurgitando cibo, il sollievo che si percepisce in quel momento non può che essere momentaneo. Di conseguenza, si continua a mangiare, le abbuffate si fanno sempre più frequenti perché il cibo non basta mai e, alla fine, si cade nell’ossessione, sviluppando un disturbo alimentare cronico.

Binge eating. La rabbia autodiretta nel disturbo da alimentazione incontrollata

Nel caso del binge eating ci troviamo di fronte a una declinazione del disturbo alimentare in cui sono compresenti sia il vuoto tipico della bulimico che la protesta dell’anoressico.

Tuttavia, chi sviluppa il disturbo dell’alimentazione incontrollata porta dentro di sé una protesta che sfocia nella rabbia autodiretta e distruttiva.

Tale distruttività si esprime sia nel gesto del mordere, masticare, dilaniare il cibo con i denti sia nel desiderio inconscio di farsi del male in questo modo.

Di fatto, il binge eating è una sorta di autolesionismo che si manifesta attraverso l’alimentazione e che ha come nucleo emotivo una fortissima rabbia da parte del figlio verso i genitori.

Questa rabbia può derivare dalla mancanza di amore ma anche essere il risultato dell’esposizione a un ambiente familiare il cui clima è contraddistinto proprio da rabbia e aggressività.

Il figlio, però, non ha la forza di esprimerla in modo aperto, scaricandola su quel padre o quella madre che lo hanno reso rabbioso perché ne ha paura.

Per questo, la rabbia si fa autodiretta.

Naturalmente, tutto questo avviene in modo inconscio, senza che il ragazzo o la ragazza ne abbia cognizione.

Il corpo che ingrassa, uno scudo contro relazioni e intimità

Nei disturbi alimentari c’è tutto questo, ma anche altro.

Sia nella bulimia che nel binge eating, anche il fatto di ingrassare ha un significato simbolico, che va al di là dell’apparenza esteriore e del peso.

Prendere chili serve a rafforzare una specie di scudo verso la relazione.

Mi spiego.

Siccome le prime relazioni affettive – quelle con i genitori – sono state carenti e insoddisfacenti, il bulimico cerca di proteggersi dalla delusione e dal dolore con questo strato di grasso che tiene lontano gli altri, incluso un potenziale partner.

Come affrontare un disturbo alimentare in terapia

Disturbi alimentari come anoressia, bulimia e binge eating possono essere trattati sia attraverso una terapia individuale sia seguendo un percorso di terapia di gruppo.

In una prima fase, il compito del terapeuta è guidare il paziente affetto da disturbo alimentare verso una comprensione profonda delle dinamiche sottese al suo disagio. Egli deve poter prende consapevolezza del fatto che sta cercando di risolvere dei problemi affettivi proiettando nel cibo determinati conflitti, bisogni e richieste.

Una volta che c’è stata una vera presa di coscienza, che non è soltanto cognitiva e intellettuale, ma ha a che fare con qualcosa di viscerale, con la pancia per così dire, la proiezione perde forza e crolla.

La proiezione, infatti, si regge finché agisce silenziosamente nell’inconscio, rimanendo nascosta alla vista.

Nel momento in cui la riveliamo, essa perde la sua efficacia.

Dunque, il paziente anoressico, bulimico o affetto da bing eating deve poter vedere tutto questo in modo da disinvestire dal cibo la propria libido, riassorbendo la proiezione e riportando quindi i propri bisogni in una dimensione in cui la relazione è con una persona, non con un oggetto inanimato (il cibo stesso).

A questo punto, attraverso il transfert o un’esperienza emotiva correttiva – che può essere vissuta con il terapeuta stesso nell’ambito di una psicoterapia individuale oppure all’interno di quella seconda famiglia che è costituita dal gruppo di terapia in cui troviamo figure che rimandano a padre, madre e fratelli – può ottenere quello di cui ha sempre avuto necessità.

Nel caso dell’anoressica può terminare la protesta per quel cibo che è mancato.

Nel caso del bulimico si smette di cercare il cibo concreto perché si è ottenuto il riconoscimento dei propri bisogni psichici e del fatto che esista un mondo interiore.

Nel caso del binge eating, svanisce la rabbia proiettiva perché alcune ferite interiori vengono risanate proprio perché questa interiorità viene riconosciuta, accolta e compresa.

 

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