Quando si parla di disturbi alimentari o disturbi della condotta alimentare, si rischia di cadere in un facile inganno, legato al sentire comune. Si tende a pensare che problematiche come l’anoressia nervosa o la bulimia abbiano a che fare con l’appetito, come se si trattasse di disfunzioni di natura prettamente organica.
Ma non è affatto così.
I disturbi alimentari, in realtà, rappresentano un modo di comunicare una sofferenza. Esprimono un disagio che, nella maggior parte dei casi, ha a che fare con le relazioni. Si tratta di veri e propri disturbi della relazione. Al di sotto di quei comportamenti di restrizione alimentare, rifiuto del cibo oppure ricerca spasmodica dello stesso c’è un’enorme fame d’amore. Non a caso, Massimo Recalcati nel suo libro “L’ultima cena: anoressia e bulimia” definisce questi disturbi alimentari come malattie d’amore.
Noi e il cibo: un rapporto affettivo
Il cibo è qualcosa di fondamentale per tutti gli esseri viventi. Attraverso il nutrimento, forniamo al nostro organismo tutto il necessario per le sue attività vitali. Ma mangiare non ha a che fare solo ed esclusivamente con la sopravvivenza e il benessere corporeo. L’alimentazione si connette in modo profondo con la nostra vita emotiva, con il nostro mondo interiore.
Tutto comincia subito dopo la nascita, tra le braccia della madre. È lei a offrire il primo nutrimento, con l’allattamento, al seno o con il biberon. Attraverso i suoi gesti, oltre al cibo – necessario per crescere – la madre trasmette anche il dono delle cure, delle attenzioni amorevoli che rispondono ai bisogni del bambino. Non soltanto a quelli fisici, corporei ma anche quelli emotivi. Se ella gode di questo momento così intimo con il figlio, attraverso le carezze, il contatto, gli sguardi, allora il bambino riceve un messaggio d’amore profondo che diventerà anche amore di sé. Quel bambino sarà in grado di formare un’immagine di sé come individuo degno di amore. Se, al contrario, il dono dell’affetto viene a mancare, il bambino percepisce il vuoto, la mancanza, il senso di rifiuto che può trovare espressione proprio nei disturbi della condotta alimentare.
Già Donald Winnicot, psichiatra e psicoanalista inglese, evidenziava come i disturbi alimentari nell’infanzia siano correlati al sentimento di dubbio provato dal bambino rispetto all’amore materno.
La madre-coccodrillo e l’anoressia come anestesia affettiva
La principale causa dell’anoressia nelle ragazze adolescenti si scopre nel rapporto con i genitori e, principalmente, con la madre. Quel dimagrimento estremo, che sembra raccontare un desiderio di sparire, nasconde una richiesta precisa, un’enorme bisogno di amore insoddisfatto. Da parte di un padre, spesso poco presente o emotivamente assente. Ma anche e soprattutto da parte di una madre ipercontrollante e iperprotettiva, che proietta sulla figlia le sue aspettative, i bisogni e i desideri che non è mai riuscita a realizzare.
Recalcati, recuperando un’espressione utilizzata da Lacan, la definisce madre-coccodrillo, un figura dotata di fauci che, in modo inconsapevole, fagocita la figlia, cannibalizza la sua esistenza. La ingloba dentro di sé, impedendole di realizzarsi come persona dotata di propria individualità e autonomia poiché non riesce a concepirla come separata da sé. Carl Gustav Jung parla dell’archetipo della madre drago descrivendola come “simbolo della madre bisognosa che non può permettere ai figli di andarsene, perché ha bisogno di loro per la sua stessa sopravvivenza psichica”.
La figlia, di fronte a questo comportamento, si trova nella condizione di dover saturare l’aspettativa dell’altro, di soddisfare i desideri materni, mettendo da parte i propri. La ragazza vive un dissidio terribile, la contraddizione insanabile tra bisogno di vicinanza e necessità di separazione. L’unico modo che trova per allontanarsi dalla madre che invade il suo spazio e la tiene legata a sé è attraverso il rifiuto del cibo che è simbolicamente rifiuto del mondo esterno e della relazione. Controllando il cibo e, quindi, il corpo e la sua forma, esercita un controlla anche sulla propria sfera emotiva.
L’anoressia si traduce in una forma di anestesia emozionale.
Poiché l’altro si dimostra incapace di amare in modo disinteressato, incapace di dare ciò di cui sentiamo il bisogno profondo, si cerca di distaccarsi. Si attua il tentativo di mettersi in una posizione dominante di fronte a qualcosa che, in realtà, ci fa sentire completamente impotenti e inadeguati.
Vi è poi un altro aspetto, il tentativo sempre frustrato di raggiungere il proprio ideale di io, un modello di corpo non realizzabile. Chi soffre di anoressia, guardandosi allo specchio, non si vede mai come “troppo magro”. Quando sale sulla bilancia, non si rende conto di aver perso peso in modo preoccupante. Si spinge sempre oltre, mettendo in atto un tipo di condotta che può mettere seriamente a rischio la sua stessa vita.
La bulimia, una fame d’amore incontenibile
La bulimia rappresenta il rovescio dell’anoressia. Se in un caso ci troviamo di fronte a una persona che mostra completo disinteresse per il cibo e rifiuta una normale alimentazione, arrivando a una situazione di magrezza estrema, sul fronte opposto si colloca chi ricerca il cibo in modo spasmodico, senza riuscire a frenare l’impulso a mangiare continuamente.
La bulimia è una fame vorace e insaziabile, che non può essere mai soddisfatta perché il vuoto che si cerca di colmare non è di tipo fisico ma emotivo. Il senso di mancanza che si esprime nel corpo ha tutta un’altra origine.
Di fatto, la bulimica cerca un sollievo dove non può trovarlo poiché estrinseca sul piano materiale un bisogno spirituale, interiore. Nel cibo o meglio nell’atto del mangiare, cerca una compensazione impossibile.
Quando si affrontano i disturbi alimentari, dunque, occorre mettersi nell’ottico più corretta, considerandoli come disturbi della relazione.