Salve a tutti,

in questo video parleremo di disforia di genere, un tema difficile e delicato che se da un lato sta guadagnando una crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica, spingendo la nostra società ad acquisire maggiore consapevolezza in tale ambito, dall’altro continua a generare ancora paura, incomprensione e rifiuto.

La disforia di genere è un disturbo psicologico riconosciuto dal DSM, nel quale il soggetto sperimenta un’importante incongruenza tra il proprio genere biologico e l’identità sessuale con cui si identifica e che percepisce come propria. Tale condizione genera un’intensa sofferenza psichica e può compromettere la vita relazionale nelle sfere dei sentimenti, della sessualità, degli studi e del lavoro.

Le persone che sperimentano la disforia di genere possono incontrare importanti difficoltà nell’ottenere una certificazione psicodiagnostica, una psicoterapia di tipo specifico e nel sentirsi riconosciute e supportate da famiglia, parenti, insegnanti e amici.

La certificazione di disforia di genere e l’inizio del percorso di transizione

Molto spesso la prima motivazione che spinge una persona con disforia a contattare uno psicoterapeuta è quella di ottenere una certificazione diagnostica che le consenta di attivare nel più breve tempo possibile un processo di transizione di genere.

Tale percorso prevede dapprima un intervento ormonale e in seconda battuta un iter di interventi chirurgici volti alla riassegnazione sessuale.

Solo dopo aver avviato tale transizione sul piano corporeo, la persona avrà modo di ottenere una rettifica di genere anche sul piano giuridico e anagrafico, con la modifica del nome sui documenti.

L’urgenza con cui il paziente richiede l’avvio di tali procedure risulta del tutto comprensibile poiché per molte persone affette da disforia la possibilità di accedere a questo iter viene percepita come l’unica via di uscita da un disagio insostenibile.

Le difficoltà delle persone transgender e non binarie

Purtroppo, la disforia di genere non è stata studiata ancora approfonditamente da tutti i professionisti della salute mentale e la sua diagnosi può rivelarsi lunga e complessa.

Molte persone devono lottare per trovare professionisti specializzati in tale ambito in grado di fornire una valutazione accurata. Questo può causare ritardi nell’accesso a cure adeguate e contribuire a un senso di frustrazione per coloro che cercano aiuto.

La pratica clinica mostra che spesso l’individuo affetto da disforia di genere che per lungo tempo si veda negata la possibilità di accedere ad una riattribuzione sessuale tende a sviluppare comportamenti autolesivi, dipendenza da sostanze, accessi di rabbia, chiusura relazionale e depressione.

D’altra parte non possiamo dimenticare che in casi come questi il terapeuta è chiamato a farsi carico di una responsabilità estrema e non può permettersi in nessun modo di essere precipitoso.

In tal senso, occorre considerare che sono molto frequenti i casi di persone che risultano erroneamente convinte di essere affette da una disforia di genere. Personalmente, direi che circa il 40% delle persone che si recano da me per ottenere il certificato necessario per avviare una transizione, non soddisfano i requisiti per identificare con certezza un disturbo di disforia.

Inoltre, purtroppo, non sono rari i casi di persone che dopo aver effettuato una transizione, si accorgono magari dopo qualche altro, di essere andate fuori strada, di aver rinunciato troppo frettolosamente a una parte autentica e vitale del loro essere.

Spesso, dietro un caso di presunta disforia di genere possono nascondersi elementi mentali di diverso tipo: vissuti traumatici rimossi, forte ambivalenza nella sfera della sessualità, sistemi di difesa evitanti o la convinzione inconscia che il proprio sesso biologico risulti socialmente inferiore.

Per tali motivi il terapeuta deve essere estremamente scrupoloso nel rilasciare un certificato psicodiagnostico. Egli si avvale di un’indagine incrociata che accanto a numerosi colloqui clinici, prevede la somministrazione di una serie di test.

Solamente se tutti gli elementi emersi convergono in modo chiaro in una determinata direzione, egli potrà aiutare il paziente a procedere verso una riattribuzione di genere.

Un’altra sfida significativa che molte persone affrontano è il mancato riconoscimento del proprio genere da parte dei propri genitori, dei propri amici e del proprio ambiente lavorativo, Purtroppo non sono tutti pronti ad accettare l’esistenza di identità di genere diverse da quelle tradizionalmente binarie. Le persone transgender e non binarie possono incontrare discriminazione, stigma e pregiudizi sia nella sfera personale che in quella professionale. Questo mancato riconoscimento del proprio genere può avere un impatto devastante sull’equilibrio mentale e sul benessere dell’individuo.

Ciò che occorre innanzitutto comprendere in tal senso è che al disforia di genere non è una scelta, ma un disagio mentale importante e cronico.

In tal senso, ritengono molto importante poter offrire una terapia di sostegno ai genitori dei ragazzi che affrontino questi tipo di percorso.

Come abbiamo visto quindi le persone che vivono con la disforia di genere sono chiamate ad affrontare diverse difficoltà, dalla certificazione diagnostica al riconoscimento del proprio ambiente sociale fino al reperimento di un terapeuta adeguato, per la persona con disforia di genere la strada per la conquista di un Io vissuto come più autentico è spesso una strada in salita.

Ma voglio dire a tutti coloro che cercano aiuto in tal senso di non scoraggiarsi.

Vorrei aggiungere un’ultima importante riflessione.

Oltre la transizione: far fiorire il proprio Io

In un percorso di riattribuzione di genere, la persona lotta per conquistare un’immagine del proprio corpo che risulti coerente col proprio io. Tale passaggio è importante perché se non sboccia il fiore, non potrà poi appassire e cadere per lasciar posto al frutto.

Sono convinto che una persona con una disforia di genere debba fare un percorso di transizione se questo la fa stare meglio. Però allo stesso tempo voglio dire che non sarò questa transizione la panacea di tutti i mali, non sarà attraverso questo passaggio che la persona troverà la vera pace.

Questo passaggio va fatto, sì, ma poi occorre andare ancora oltre.

Voglio dire che noi non siamo il nostro Io. Ma per poter trascendere il nostro Io, dobbiamo lasciarlo fiorire. Anche Buddha ha spiegato che la via per trascendere l’Io, non è quella di mortificarlo. Anzi sempre di più stiamo capendo che per poter trascendere il nostro Io, dobbiamo prima costruire, nutrire un Io sano perché trascendere vuole dire “scendere tra”.

Non è possibile saltare direttamente oltre.

E questo, secondo me, è il bellissimo messaggio del romanzo “Siddharta” di Herman Hesse e chiaramente non riguarda soltanto il disagio di cui abbiamo parlato oggi ma riguarda uno dei concetti fondamentali della psicoterapia spirituale.

Come tanti maestri spirituali ci ripetono possiamo lasciar andare solo ciò che amiamo. Dobbiamo poterci prendere cura del nostro Io per poi poterlo anche trascendere

Vi ricordo che sono disponibile per consulenze psicologiche online p dal vivo nel mio studio qui a Roma Prati prenotando tramite un messaggio whatsapp al numero 392 656 0624.

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