Nasciamo del tutto indifesi, incapaci di provvedere a noi stessi.
Siamo talmente piccoli che non siamo in grado di procurarci da soli il cibo né tantomeno di trovare un riparo caldo o di difenderci dai pericoli del mondo.
A tutto questo devono provvedere le nostre figure di riferimento primarie, cioè i nostri genitori.
Sono loro a prendersi cura di noi fin dai primi istanti di vita, provvedendo ai nostri bisogni, sia dal punto di vista fisico che emotivo.
Tutti i mammiferi si comportano in questo modo, esseri umani compresi.
Tuttavia, in alcune situazioni, gli adulti di riferimento non sono in grado di provvedere al bambino, di fornire le risposte attese dal punto di vista etologico, di trasmettere quel calore e quell’affetto che sono di fondamentale importanza per il sano sviluppo del bambino tanto quanto lo sono il cibo e l’acqua.
In queste circostante si verifica quello che viene definito deficit parentale, una mancanza che si configura come un maltrattamento nei confronti del bambino, tale da produrre un vero e proprio trauma.
Cosa accade?
Accade che il genitore anziché rappresentare una base sicura a cui ancorarsi per esplorare serenamente il mondo circostante, si rivela l’esatto contrario, agendo nei suoi confronti con violenza di tipo fisico o psicologico, con vessazioni e umiliazioni.
In presenza del genitore, il bambino non si sente tranquillo e al sicuro, ma avverte una sensazione di pericolo, che lo tiene in allerta costante.
Il trauma legato alla figura genitoriale
L’esperienza traumatica di un genitore incapace di prendersi cura del proprio figlio produce conseguenze a breve e lungo termine sul bambino.
Nel breve periodo, la sofferenza vissuta può trovare manifestazione in una forte ansia che impedisce al bambino di mantenere l’attenzione a scuola e di comportarsi in modo “normale” in classe.
Talvolta, questi comportamenti vengono fraintesi e interpretati come sintomi di un disturbo da un deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD).
In verità, però, indagando meglio, si scopre che l’anomalia riscontrata rappresenta il modo in cui il bambino esprime il disagio che prova.
In altri casi, il bambino che vive un deficit parentale potrebbe sviluppare una dipendenza dal genitore maltrattante, che si accompagna a bassa autostima ed è correlata a uno stile di attaccamento insicuro, evitante o ambivalente.
Tale stile di attaccamento rappresenta un pattern comportamentale che si inscrive dentro di noi, trasformandosi in un modello delle relazioni future, riattualizzato nella vita di coppia adulta, come ho spiegato in questo articolo dedicato all’attaccamento in età adulta: Amiamo come siamo stati amati.
Un modello genitoriale violento
Le conseguenze più gravi del deficit parentale, però, emergono in piena luce soltanto quando il bambino maltrattato cresce, diventando un adulto.
Quel bambino ha ormai interiorizzato un modello genitoriale caratterizzato da violenza, aggressività e disprezzo. Di conseguenza, quando deciderà di formare una famiglia e di mettere al mondo un figlio, egli tenderà (in modo del tutto inconscio) a riproporre gli atteggiamenti del genitore.
Egli metterà in atto comportamenti aggressivi e violenti, gli stessi di cui è stato vittima incolpevole, senza rendersene pienamente conto, in una sorta di cieco automatismo.
Dentro di sé riuscirà persino a trovare una giustificazione a quegli atti, a quelle parole che offendono, umiliano e feriscono il bambino e che rappresentano una riemersione di sentimenti di rabbia e impotenza vissuti da piccolo.
Troverà una scusante per discolparsi ai suoi occhi e a quelli degli altri, razionalizzando il proprio comportamento.
Dirà, infatti, che lo fa per il bene del bambino, che tutto quanto è finalizzato all’educazione del figlio.
“Mio padre me ne dava tante, ma era per il mio bene” sento dire delle volte.
Se riflettiamo attentamente, ci accorgiamo che non c’è vera cattiveria in quei gesti. Se un padre o una madre si rendesse conto di star facendo del male al proprio figlio, smetterebbe immediatamente.
Immagine di bearfotos su Freepik
Un esempio: Il genitore che grida contro il figlio piccolo
Per intenderci meglio, vorrei descrivere una situazione tipo, un episodio a cui chiunque potrebbe aver assistito o che potrebbe aver vissuto.
Prendiamo il caso di un bambino che sporca qualcosa in casa. Magari disegna con il pennarello su un muro bianco oppure su un divano. Il suo gesto è espressione di spontanea creatività, privo di malizia. Ma il genitore che vede un pezzo di arredamento rovinato, comincia a urlare per sgridarlo. Preso dalla rabbia, magari lo punisce oppure lo svilisce e lo mortifica.
Questa reazione spropositata è dettata dal proprio vissuto di sofferenza.
Egli sta scaricando sul proprio figlio la stessa violenza e aggressività che ha ricevuto durante l’infanzia dal genitore. Riversa sull’altro, indifeso, quello che lui ha ricevuto.
Violenza chiama violenza e il cerchio si chiude
Cosa accade poi e perché parlo di circolo vizioso trigenerazionale della sofferenza?
Detto molto in breve, il cerchio si chiude: il bambino, sottoposto a continue angherie, maltrattamenti, urla e – talvolta – violenze di tipo fisico come schiaffi, pugni etc., presto o tardi comincia a sviluppare un atteggiamento altrettanto aggressivo.
Risponde cioè nello stesso modo.
A quel punto, il genitore che non è riuscito a elaborare e superare il proprio trauma di bambino maltrattato, vede nel figlio ciò che gli ha fatto male.
Più nello specifico, il genitore si trova di fronte due cose che non riesce proprio a tollerare.
Da un lato, l’atteggiamento aggressivo del figlio riapre in lui vecchie ferite mai sanate, rievocando il suo vissuto di bambino.
Dall’altro, il figlio gli si pone di fronte come un specchio in cui egli vede riflesso sé stesso, i suoi problemi, l’aggressività sua e quella di chi lo ha ferito e umiliato nel corso della sua infanzia.
La conseguenza di questa situazione è un’escalation di reazioni sempre più esasperate, in cui violenza chiama violenza e rabbia chiama altra rabbia, in un circolo vizioso che non sembra avere fine o soluzione.
È quello che chiamo circolo vizioso trigenerazionale della sofferenza.
Di fatto, ci vogliono tre diverse generazioni per rendersi conto di quel che sta accadendo.
Il circolo vizioso trigenerazionale della sofferenza: caratteristiche salienti
Sono tre le caratteristiche principali di questo circolo vizioso:
- si basa sull’inconsapevolezza dell’individuo (genitore) maltrattante, che non si rende conto di ferire, umiliare, svilire il bambino
- si basa su un trauma infantile avvenuto con la figura di riferimento (madre o padre) che non si è dimostrata in grado di rispondere ai bisogni del bambino. Questo trauma innesca una coazione a ripetere
- ha a che fare con la sofferenza che si muove da una generazione all’altra, di padre (o madre) in figlio
Giunto al suo culmine, questo meccanismo può determinare situazioni di psicopatologia oppure aprire una profonda crisi nell’individuo, che può uscirne e recuperare un più sano rapporto con gli altri e con sé stesso soltanto con un percorso di psicoterapia.
Immagine di Freepik
Prevenire il disagio in famiglia con il sostegno genitoriale
A mio parere, uno strumento fondamentale per arginare il fenomeno del disagio familiare è l’informazione.
Spesso, infatti, problemi come questo nascono in seno a famiglie in cui c’è scarsa consapevolezza delle dinamiche in atto, in particolare di quelle che influenzano il rapporto tra genitori e figli. Quando poi si arriva alla terapia, la situazione è già molto complicata e ci si trova a intervenire su traumi già “consolidati”.
Ritengo che, in questo come in altri casi, sia preferibile prevenire anziché curare.
Di conseguenza, sarebbe opportuno che le coppie in procinto di formare una famiglia affrontino una sorta di preparazione alla genitorialità, intraprendendo un percorso di parent training.
Il parent training consenet di andare verso la genitorialità in modo consapevole, dopo essersi confrontati con un terapeuta su alcune tematiche e nodi del passato che potrebbero essere rimasti irrisolti. Spesso, infatti, la nascita di un bambino destabilizza poiché alcune problematiche rimaste latenti, legate al rapporto con i nostri genitori, emergono soltanto in quel momento.
Immagine di copertina:
Immagine di artursafronovvvv su Freepik