Adottare un amico a quattro zampe richiede tanto impegno ed energie, soprattutto quando si prende con sé un cane, di qualsiasi razza e taglia. Non bisogna soltanto investire denaro per far fronte alle diverse esigenze dell’animale da compagnia nel corso della sua crescita, da quando è soltanto un cucciolo fino all’età adulta, tra visite dal veterinario, croccantini e pappe, giochini etc.
Avere un cane in casa significa anche dedicare tempo ed energie a un essere vivente, che richiede cure e attenzioni. Significa organizzare la propria routine quotidiana anche in base ai ritmi del nostro nuovo compagno (pensiamo a tutte le volte che lo portiamo a fare una passeggiata anche quando fuori piove oppure la sera tardi, tornati dal lavoro) e, talvolta, rinunciare a qualcosa per stare insieme a lui.
Eppure, nonostante gli indubbi costi dell’avere un cane, tantissime persone scelgono di adottarne uno e farlo entrare nella propria casa e nella propria vita. Ciò significa che avere accanto queste creature porta con sé grandi vantaggi, ben superiori ai sacrifici e alle incombenze.
Gli effetti positivi dell’avere un animale sono molteplici:
- allevia solitudine e stress e previene la depressione
- stimola la socializzazione
- aumenta il senso di responsabilità, insegnandoci a prenderci cura di un altro essere vivente
- ha un effetto educativo per i bambini
Ma esistono anche tutta una serie di benefici psicologici poco conosciuti che vorrei qui esporre in modo più approfondito. Ne parlo come terapeuta ma anche come padrone di uno splendido cane, divenuto compagno di vita per me e la mia famiglia.
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Avere un cane migliora la comunicazione in famiglia
“È così intelligente, gli manca soltanto la parola”.
Spesso i padroni dei cani formulano pensieri come questo, evidenziando senza saperlo uno degli aspetti più rilevanti del rapporto che si instaura tra uomo e cane.
Questo rapporto, infatti, si basa essenzialmente sulla comunicazione non verbale.
Il nostro cane più che dar peso alle parole che pronunciamo, osserva e presta attenzione a tutta una serie di segnali che accompagnano la comunicazione e che esprimono un messaggio: l’espressione sul nostro viso, il tono e l’inflessione della voce, la gestualità, il nostro modo di muovere il corpo nello spazio, la postura etc.
Tutti questi elementi gli consentono di comprendere a fondo le nostre intenzioni.
In questo modo, il cane sfugge completamente alla trappola del doppio legame (o doppio vincolo, double bound in inglese), un concetto elaborato dall’antropologo e psicologo Gregory Bateson, grande esponente della scuola di Palo Alto.
Di cosa si stratta?
In sostanza, il doppio legame si verifica quando in una comunicazione tra due individui legati da una relazione affettiva si presenta un’incongruenza tra il livello verbale e il livello non verbale.
Pensiamo, per esempio, a un genitore che dice al proprio figlio di amarlo sopra ogni cosa e di preoccuparsi di lui mentre, allo stesso tempo, lo maltratta oppure gli lascia intendere che quell’affetto è condizionato dal suo comportamento.
In questo caso, il figlio si trova a vivere una situazione di doppio legame, sperimentando messaggi verbali, fisici ed emotivi contrastanti, in contraddizione tra di loro, che lo bloccano in una dinamica relazionale ambigua.
Per sua natura, il cane non può rimanere invischiato in questo meccanismo. L’animale, infatti, può amplificare a dismisura la componente non verbale della comunicazione, tagliando fuori tutto il resto, escludendo contraddizioni, ambiguità e incongruenze.
Questa sua capacità aiuta molto la famiglia che accoglie il cane in casa, facendolo diventare parte integrante della propria quotidianità.
Il comportamento dell’animale, infatti, sollecita i padroni a tenere in maggior considerazione gli aspetti non verbali della comunicazione.
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I benefici di un cane domestico: aiuta a rallentare i processi di transfert
Il cane offre un aiuto enorme per il benessere psicologico perché è in grado di rallentare i processi di transfert in atto all’interno del nucleo familiare in cui vive.
Accade, infatti, che in famiglia si inneschino delle dinamiche patologiche per le quali uno dei membri (un genitore, un partner, un fratello etc.) comincia a proiettare sull’altro le esperienze del proprio passato, spostando su di lui o lei caratteristiche ed emozioni che appartengono al suo vissuto personale, alla sua esperienza.
L’altro viene usato come un contenitore all’interno del quale si depositano queste proiezioni.
Alla lunga, però, lui o lei rischia di identificarsi con quelle proiezioni, dando luogo a quella che viene definita identificazione proiettiva.
In questo modo, il passato ritorna e si fa presente, sovrapponendosi a esso e inglobandolo del tutto.
Questa logica vale per gli esseri umani ma non per il cane, che sfugge completamente al meccanismo che abbiamo appena descritto. L’animale è libero dal transfert e non può identificarsi con le nostre proiezioni.
Di conseguenza, ci offre uno spazio di piena libertà.
Faccio alcuni esempi per essere più chiaro.
Prendiamo il caso di una famiglia all’interno della quale vige un modello adultocentrico. Alla base di questo modello c’è la convinzione assoluta che gli adulti siano superiori ai giovani e ai bambini, che abbiano sempre ragione e che i loro diritti e interessi vengano prima di tutto.
In un ambiente del genere, i bambini vengono messi all’ultimo posto. La loro opinione non conta nulla. I loro sentimenti e desideri vengono del tutto ignorati oppure sminuiti. Vengono sottoposti a una spinta costante perché si sottomettano, senza fare troppe storie.
Naturalmente, questo produce ferite profonde nell’individuo, minando la sua autostima e il suo senso di autoefficacia. L’effetto prodotto è un’immagine negativa di sé. È possibile che, da adulto, lui o lei non sia in grado di imporsi, abbia la tendenza ad assumere un atteggiamento remissivo e avverta spesso sentimenti di impotenza.
In altri casi, è possibile che da grande chi ha subito questo trattamento assuma il ruolo di adulto oppressivo, riproducendo lo schema che ha assimilato durante l’infanzia, all’interno delle mura domestiche.
Le cose cambiano, però, se c’è un cane in casa.
L’animale domestico, infatti, non soggiace a schemi di questo tipo.
Come ho spiegato nel video dedicato ai danni dello “scappellotto educativo”, la natura ha programmato gli animali per prendersi cura dei cuccioli, che non sono in grado di badare a sé stessi e sopravvivere. Non li ha certo predisposti a fare del male ai propri piccoli.
Gli stessi studi del dottor Andrea Vitale hanno dimostrato come il maltrattamento della prole sia un comportamento esclusivamente umano. Gli esseri umani – a differenza degli altri animali – hanno la capacità di deviare rispetto alle leggi dettate dall’istinto, che guida tutti gli altri esseri viventi sul nostro pianeta.
In un certo senso, il cane domestico è più vicino alla saggezza della natura. Agisce d’istinto e seguendo il suo impulso, dà attenzioni ed affetto al bambino, gioca con lui, lo segue, instaurando un legame profondo e agendo in contrasto con la logica patologica dell’adultocentrismo.
Facciamo un altro esempio per spiegare meglio il valore terapeutico della presenza di un cane in famiglia.
Prendiamo il caso di una famiglia in cui sia presente il pesante mandato dell’amore condizionato, in cui vige la logica secondo la quale l’affetto verso il partner o verso il figlio dipende dal suo adeguamento a un modello. L’altro è considerato degno di amore soltanto se rispetta i nostri desideri e soddisfa le nostre aspettative.
Ha il dovere di corrispondere esattamente al nostro ideale.
Il cane è in grado di rompere questo schema poiché il suo è un amore del tutto incondizionato, che prescinde da cosa siamo, da cosa abbiamo o da cosa siamo in grado di dargli. Lui ama in modo puro, senza filtri o condizioni.
Ama e non chiede nulla in cambio.
Sulla base di questi due esempi, credo sia chiaro come il cane possa sfuggire a determinati schemi e dinamiche patologiche e aiutare la famiglia in cui sono presenti certi valori e leggi non scritte a sottrarsene.
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