Nel 2021, è stata lanciata la miniserie Scene da un matrimonio, ideata e diretta dal regista Hagai Levi.
Se il titolo della serie tv vi suona familiare, è perché si tratta di un remake dell’omonima serie realizzata nel 1973 dal grande regista Ingmar Bergman, che vede affiancati sul set Erland Josephson e Liv Ullmann nei panni di una coppia sposata che affronta tutte le dinamiche più tipiche di una relazione amorosa, dall’idillio alla crisi.
La serie di Levi segue lo stesso leitmotiv, trasponendo la vicenda ai giorni nostri e mettendo al centro della narrazione una coppia moderna.
Quasi cinquant’anni separano queste due riflessioni cinematografiche sulla coppia. Ma la pellicola di Bergman è ancora una pietra miliare, che ci aiuta ad addentrarci nell’ambito complesso della vita a due.
Sposati e felici: la superficie della relazione di coppia
Un caldo interno domestico. Una coppia seduta sul divano del salotto conversa amabilmente con una giornalista. I due, marito e moglie, vengono intervistati riguardo la propria vita coniugale. Prima di passare alle domande di rito, qualche fotografia – scatti che dovrebbero immortale momenti di spontaneità, ma che non possono essere altro che il riflesso slavato della realtà.
Attraverso le loro voci, facciamo la conoscenza con i protagonisti di questa vicenda. Lui è Johan, ha quarantadue anni e insegna in un istituto universitario psicotecnico. La moglie, invece, si chiama Marianne. È un po’ più giovane, trentacinque anni, e lavora in uno studio legale. Si tratta di un’avvocatessa, esperta in diritto di famiglia.
Ormai, sono sposati da 10 anni. E il loro legame è stato coronato dalla nascita di due figlie, Karen ed Eva.
A vederli così, sembrano una famiglia felice. E proprio per questo sono stati prescelti: per rappresentare l’ideale di coppia perfetta, profondamente appagata. A prima vista, la loro sembra una condizione assolutamente invidiabile:
“Ci consideravamo addirittura una coppia ideale[…] tranquillità, ordine, armonia, lealtà…una felicità indecente se si può dire così”.
Ma questa è soltanto la superficie, la facciata che si mostra agli altri. Al di sotto, c’è un mondo intero da esplorare. E con Scene da un matrimonio, Bergman ha tutta l’intenzione di scandagliare queste acque apparentemente serene per scoprire le correnti che si muovono in profondità, quelle dinamiche nascoste che reggono (o mandano all’aria) un rapporto.
Il regista sicuramente attinge molto materiale dalla sua esperienza diretta, proiettando il suo vissuto nell’opera, quasi si trattasse di uno psicodramma col quale mettere in scena una porzione della propria vita, dando forma concreta a conflitti e tensioni interiori.
Bisogna ricordare che Marianne, la protagonista è interpretata da Liv Ullman, attrice che fu a lungo compagna di Bergman, anche se il loro legame non venne mai ufficializzato.
Scene da un matrimonio, un film che è quasi una terapia di gruppo
Scene da un matrimonio parte così, da una situazione idilliaca, di perfetto equilibrio tra le parti in causa. Da un’armonia di coppia che rappresenta la superficie esterna del rapporto, quella convenzionale, di facciata, che possiamo mostrare agli altri e alla società.
Ma basta osservare più da vicino i nostri protagonisti per accorgersi che è soltanto apparenza. Entrambi, marito e moglie, sono calati in una dimensione di totale negazione.
Tutti e due celano a sé stessi e agli altri quello che realmente vivono e sentono.
Nel corso della narrazione di Scene da un matrimonio, due situazioni in particolare fanno da preludio all’esplosione della crisi coniugale, rompendo l’atmosfera di serenità e quiete che ci viene proposta all’inizio: una cena in casa in compagnia di amici e il colloquio di Marianne, nelle vesti di avvocatessa, con un’anziana signora.
A cena con amici: il conflitto in scena
Seduti intorno al tavolo, Johan, Marianne e una coppia di amici parlano dell’articolo dedicato alla vita di coppia dei protagonisti.
“Adesso viene il bello!” esclama Johan, dando lettura di una parte del pezzo. “Così decido di venirmene via. Si capisce che è il momento di lasciarli a loro agio e noto che ne sono felici. Finalmente possono restare soli insieme nella loro tranquillità. Due esseri che sono maturati l’uno accanto all’altro, nel matrimonio, forti, felici, fiduciosi nella vita e nella società, consapevoli di aver collocato il loro amore al primo posto al di sopra di tutte le cose”.
Proprio il confronto diretto con quest’immagine patinata di relazione, consente che vengano in superficie i contrasti sottaciuti tra i due ospiti, anche loro marito e moglie.
All’inizio sono soltanto allusioni, mezze parole. Poi diventano veri e propri sfoghi, attraverso i quali quei due arrivano a esprimersi l’astio reciproco che cova sotto le ceneri di un amore naufragato.
Di fronte a questa scenata, che in teoria non dovrebbe tenersi in pubblico, ma all’interno della dimensione privata e riservata dell’intimità, Johan e Marianne cercano di placare i due contendenti e di riportare la conversazione su toni più civili.
In un certo senso, entrambi cercano di mettere a tacere il dolore che è appena esploso di fronte ai loro occhi. Girano lo sguardo altrove per non doversi confrontare con quella coppia che è divenuta uno specchio in grado di riflettere la condizione da loro stessi vissuta ma ancora non emersa pienamente alla coscienza.
Proprio come avviene nella psicoterapia di gruppo, in questa scena, l’incontro con l’altro dà la possibilità di entrare in contatto diretto con parte rimosse o negate di sé.
A ben guardare, non sembra affatto un caso che Marianne, a conclusione della cena, proponga all’amica di rivolgersi al suo studio legale per intraprendere le pratiche di divorzio. Questo è un modo per riportare entro binari razionali, entro una norma qualcosa che sfugge al controllo e alla razionalità poiché ha a che fare con la sfera emotiva profonda.
Scene da un matrimonio ci porta a indagare a fondo proprio la parte nascosta di noi.
A colloquio con l’anziana: un matrimonio senza amore
Poco dopo entriamo nella stanza in cui Marianne sta svolgendo un colloquio con un’anziana signora. La donna ha deciso di prendere appuntamento poiché è intenzionata a chiedere il divorzio.
Vuole lasciarsi alle spalle un matrimonio sterile, un’unione senza amore.
Quest’ultimo aspetto risulta particolarmente accentuato. Le parole della donna esprimono una condizione di profondo disagio e sofferenza, il senso di soffocamento vissuto da chi è stato costretto a vivere la propria intera esistenza intrappolata in un legame convenzionale, privo di stimoli e di gioia, soltanto perché c’erano di mezzo dei figli che bisognava preservare.
Scopriamo, infatti, che la donna aveva già manifestato al marito il desiderio di sciogliere la loro unione ben quindici anni prima. Ma l’uomo, grande assente in questa conversazione, le ha chiesto di attendere che i figli fossero ormai grandi.
Emerge così il delicato tema della responsabilità nei confronti dei figli, che i trasforma in una trappola, una catena che costringe a rimanere insieme anche quando ormai si è due estranei in casa.
Le parole dell’anziana donna, ormai arrivata a un’età molto avanzata, sono struggenti:
“Le cose più strane mi stanno capitando, i miei sensi, il senso dell’udito, della vista, del tatto cominciano a tradirmi […]. Lo stesso vale per tutto il resto: la musica, gli odori, i volti e le voci della gente, tutto mi appare più povero, più grigio, senza nessun valore.”
A questo punto, la cinepresa indugia sul volto della protagonista, cogliendo la sua espressione. Basta questo a lasciarci intuire e comprendere i sottintesi che questo dialogo tra donne – una nel fiore degli anni, l’altra ormai al capolinea della propria esistenza – portano alla luce.
Oltre convenzioni e regole: la coppia e l’incontro con il mistero
Non esiste una formula, una ricetta di sicuro successo per tenere in piedi una relazione e farla fiorire. Bergman lo sa e non vuole certo rispondere in modo definitivo sulla questione.
Il suo scopo, con Scene da un matrimonio, sembra piuttosto quello di indagare con occhio attento e lucido le relazioni di coppia, esplorando quei conflitti che rischiano di trasformare l’amore e la vita a due in una trappola d’odio e indifferenza.
Messi di fronte alle vite degli altri, così simili e diverse dalla loro, Marianne e Johan arrivano a rivolgere uno sguardo alla propria interiorità, entrando in contatto con quella parte di sé che hanno sempre nascosto. SI arricchiscono di dubbi e lasciano affiorare tutto quello che non sono mai riusciti a dirsi perché hanno preferito adagiarsi nel compromesso, adeguarsi.
Ecco, allora, che si comincia a parlare dei loro problemi sessuali, del fatto che, dopo tanti anni insieme, il trasporto e la passione dei primi tempi si sono estinti. L’attrazione reciproca non solo manca, ma si è rovesciata nel suo opposto, in un vero e proprio senso di disgusto verso il corpo dell’altro.
La crisi, annunciata fin dall’inizio, si manifesta in tutta la sua forza: Johan confessa apertamente alla moglie di essersi invaghito di una giovane e avvenente studentessa.
Quel che segue è davvero da copione. Molti, probabilmente, potranno rivedere in queste scene quel che hanno vissuto a causa di una relazione fallita: sofferenza, difficoltà, litigi, tentativi di riavvicinamento.
Soltanto alla fine, dopo essersi fatti di tutto, dal tradirsi al picchiarsi selvaggiamente, Johan e Marianne capiscono che la crisi, per quanto dolorosa, rappresenta un’occasione per gettare le fondamenta di qualcosa di nuovo.
Johan e Marianne si ritrovano quando ormai si erano perduti, lasciati e risposati con altri.
Si ritrovano fuori dai confini convenzionali del matrimonio, come una coppia clandestina che fa l’amore di nascosto nello chalet messo a disposizione da comuni amici.
Sono una coppia che ha attraversato tutte le fasi della relazione ed è giunta finalmente al punto finale del percorso, matura e solida perché i due partner sono stati in grado di lasciar saltare le regole imposte.
Come fa capire Yalom ne “Le lacrime di Nietzsche”, in cui la crisi coniugale è tema centrale, solo quando abbiamo il coraggio di disancorarci da abitudini e certezze possiamo incontrare l’altro in tutta la sua problematicità e autenticità, in tutto il suo mistero.
Ma sono le parole dello stesso Johan a rappresentare una chiave di lettura fondamentale per il film che si presenta anche come un’educazione sentimentale, un percorso per imparare che l’amore è accettare sé e l’altro come imperfetti, dalla negazione alla piena consapevolezza:
“Ti dirò una cosa ancora più ovvia: noi non siamo che degli analfabeti dal punto di vista sentimentale. Ci hanno insegnato tutto sull’anatomia, sull’agricoltura in Africa, che la somma dei quadrati costruiti sui cateti è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa ecc. ecc. Ma non ci hanno insegnato una sola parola sulla nostra anima. L’ignoranza su noi stessi e gli altri è tragicamente totale.”