Nel 1997, il maestro spirituale Eckhart Tolle pubblica un libro che, per molti, rappresenterà una vera e propria rivelazione. Si tratta de Il Potere di Adesso. Una guida all’illuminazione spirituale, volume oggi di fama planetaria, che si pone nel solco di diverse tradizioni spirituali, dal Buddhismo al misticismo, passando anche per gli insegnamenti impartiti da Gesù.

Ma che si fonda sostanzialmente sull’esperienza vissuta personalmente da Tolle.

Egli racconta come, fino più o meno al compimento dei trent’anni abbia vissuto in uno stato perenne di ansia, intervallato da periodi di forte depressione che lo hanno indotto a meditare sul suicidio. Una notte del 1977, si sveglia in preda all’ennesimo forte attacco d’ansia, così intenso che lo porta a provare disgusto per la propria stessa esistenza. “Che senso aveva continuare a vivere con questo fardello di infelicità? Perché proseguire questa lotta ininterrotta? Sentivo che una profonda brama di annullamento, di inesistenza, diveniva molto più intensa del desiderio istintivo di continuare a vivere. ‘Non posso più vivere con me stesso’. Era questo il pensiero che continuava a ripetersi nella mia mente” scrive.

È in questa condizioni di profonda prostrazione che Tolle ha una sorta di illuminazione. Si domanda, infatti, cos’è quell’io che non può vivere con il sé, se quell’io sia effettivamente reale. Questo semplice dubbio apre uno squarcio nella sua coscienza. Si sente attirato verso una specie di vortice di energia dentro di sé, un vuoto che lo risucchia e del quale non ha alcuna paura.

Dirà poi: “La pressione di quella notte deve aver costretto la mia coscienza ad abbandonare la sua identificazione con il sé infelice e profondamente timoroso che in definitiva è un’invenzione della mente”.

La sofferenza e l’identificazione con l’io

Tolle si è reso conto che la sofferenza che provava e che proviamo tutti noi come esseri umani, per la maggior parte, deriva dal nostro identificarci costantemente con la nostra mente, con i nostri pensieri, con quello che chiamiamo solitamente “io”.

Anche se Tolle si ispira prevalentemente a particolari correnti spirituali, quello che evidenzia presenta molti punti di contatto con quanto emerge dalla psicoanalisi e, più nello specifico, ha delle similarità con quanto teorizzato da Jacques Lacan. Sembra si tratti di mondi e impostazioni molto diverse.

In realtà, però, c’è una profonda affinità tra queste due prospettive.

Nel libro Il Potere di Adesso, Tolle sostiene che l’unico modo per poterci affrancare dalla sofferenza che ci domina e ci tiene prigionieri, ritrovando equilibrio e benessere, è quello di abbandonare l’identificazione con il nostro io, dis-identificarci dalla nostra mente.

Il dolore, la sofferenza che percepiamo ogni giorno derivano proprio dal fatto che assimiliamo noi stessi alla nostra mente. Pensiamo di essere i nostri pensieri, le emozioni che proviamo, le sensazioni. In realtà, però, non è così.

Noi non siamo la nostra mente

I pensieri che scorrono nella nostra testa, le emozioni, spesso contraddittorie e tumultuose, i nostri desideri, le sensazioni che proviamo sono parte di noi, sono contenuti della nostra coscienza ma non rappresentano la nostra autentica Essenza. Fanno parte di noi, ma non siamo noi. Sono ciò che più immediatamente ci si presenta e che tendiamo a riconoscere come ciò che effettivamente siamo, ma non è affatto così.

Per usare una metafora piuttosto semplice, è come se tutti questi contenuti (emozioni, pensieri, sensazioni) fossero la pellicola di un film, mentre noi siamo il proiettore.

Noi esistiamo al di là di quel che proviamo e sentiamo e se riusciamo per un momento a distaccarci da tutto questo, possiamo entrare in contatto con la nostra natura più profonda e, allo stesso tempo, ritrovarci in armonia con il mondo circostante, la natura e gli altri, con i quali condividiamo una radice comune.

Il corpo di dolore

Altro concetto fondamentale presente nel libro Il Potere di Adesso è quello di Corpo di dolore. Finché non riusciamo a focalizzarci sul presente, sul qui e ora, lasciando andare è come se fossimo preda di un dolore che lascia dei segni, degli strascichi, un residuo che sopravvive e va ad assommarsi alla sofferenza patita nel passato, che si annida nel nostro corpo e nella nostra mente.

Il corpo di dolore è una struttura vitale semi autonoma che si nutre di carica emotiva negativa.

È un campo di energia negativa che occupa mente e corpo e ci fa soffrire. Nelle persone che prova una profonda infelicità, può essere sempre attivo. In altri, viene sollecitato da condizioni e situazioni particolari, ferite fisiche e ferite emotive che continuano a sanguinare nel tempo, che riprendono a bruciare quando ci si confronta con qualcosa che rievoca il trauma.

Dolore, rabbia, violenza, tristezza, auto-commiserazione, frustrazione. Tutto quello che ha una carica negativa alimenta e sostiene il corpo di dolore, lo aiuta a essere forte e a dominarci, in una spirale di sofferenza che non sembra avere fine e che diviene una sorta di grande circolo vizioso.

In modo inconsapevole, siamo noi stessi a nutrire il nostro dolore.

Quante volte, infatti, quando ci sentiamo demoralizzati e sofferenti ci lasciamo andare a una catena di pensieri negativi e catastrofici, sempre più cupi, che ci affossano completamente? Ci raccontiamo storie tristi, piene di rabbia o ansia e finiamo con identificarci con la voce che sentiamo nella nostra testa.

Così, dice Ekhart Tolle in Il Potere di Adesso, funziona il nostro Corpo di Dolore.

Uscire dalla sofferenza con la disidentificazione

Per ritrovare il benessere, dunque, occorre disidentificarsi dal proprio io.

È questa la lezione fondamentale del libro Il Potere di Adesso. Ma è anche un concetto che ritorna all’interno della psicoterapia che si avvale di varie forme di meditazione per raggiungere questo scopo. Basta pensare alla mindfulness che con la sua pratica gentile ci aiuta a prendere consapevolezza di noi stessi, oltre i pensieri e le emozioni che stiamo provando.

Come avviene la disidentificazione, nella pratica?

In buona sostanza, per liberarci dalla compulsività della mente, che vaga tra mille pensieri e sensazioni, dobbiamo scoprire proprio il potere di Adesso, cioè riuscire a concentrarci sul momento presente, sul qui e ora, in questo luogo e questo tempo, senza lasciarci trascinare dalla nostra mente verso il passato o il futuro.

L’idea fondamentale, infatti, è che questo modo di procedere della mente ha le sue fondamenta nel predominio delle dimensioni temporali del passato e del futuro, verso le quali la nostra mente è costantemente attratta. Spesso, invece di vivere l’adesso, ci proiettiamo nel passato, cullandoci nei ricordi, nella malinconia, nel dolore, oppure ci lanciamo verso il futuro, verso quel che ancora non è, progettando, sperando, temendo, riempiendoci di ansia e aspettative.

E così, ci dimentichiamo del presente, l’unico tempo da vivere.

Pensiamoci bene.

Nulla accade nel passato perché quel tempo è già trascorso, è alle nostre spalle e può essere rievocato soltanto attraverso il ricordo, non modificato. Non possiamo agire nel passato.

Allo stesso modo, nulla accade nel futuro perché il futuro è una proiezione della nostra mente, alimentata da desideri e paure. Quando il futuro è qui, allora diventa presente.

Passato e futuro esistono nella misura in cui esiste il presente.

Questo concetto mi fa risuonare nella mente le parole del grande psicologo Erik Erikson che spiegava come la salute mentale, il nostro benessere sia determinato dalla possibilità di trovare un equilibrio tra le varie dimensioni temporali, presente, passato e futuro.

Guardare troppo indietro o in avanti ci crea profonda sofferenza.

Quando rimaniamo ancora a quel che è ci è accaduto nel passato, rischiamo di rimanere intrappolati in uno schema comportamentale, nella ripetizioni cieca e inconsapevole di un copione acquisito e interiorizzato. È come quando abbiamo subito un trauma che ci inchioda nel passato, congelando il tempo, costringendoci a rivivere quell’esperienza traumatica attraverso la coazione a ripetere. In questo modo, il presente scolorisce di fronte ai nostri occhi o meglio finiamo con l’interpretarlo secondo schemi già visti.

Quando, invece, fissiamo il nostro sguardo verso quel che ancora non è accaduto, cominciamo a soffrire di ansia anticipatoria, sentiamo crescere la preoccupazione per quel che potrebbe accadere e che ci spaventa e, in qualche modo, finiamo con il farla accadere realmente.

Anche quando siamo felici, rischiamo di non rendercene conto perché la nostra mente, invece di focalizzarsi sul presente, si protende verso il futuro, verso il momento successivo e quello dopo ancora.

L’unico modo per sfuggire a tutto questo è essere presenti a noi stessi, stare nel presente, nel qui e ora, nell’adesso. Questo naturalmente non significa affatto vivere alla giornata, senza fare programmi per il futuro, senza avere progetti e lavorare per raggiungere obiettivi. Significa, piuttosto, usare la mente soltanto quando serve davvero per poi tornare a prestare attenzione al momento che stiamo vivendo, l’unico davvero esistente.

Osservare pensieri ed emozioni

Ma, in buona sostanza, come si fa a disidentificarsi e a stare nel presente?

Tolle indica un metodo che è molto semplice e che ha delle evidenti affinità con quello che si fa in psicoterapia e con le pratiche di meditazione come la mindfulness. Quel che bisogna fare è provare a osservare i propri pensieri e le emozioni nel loro svolgersi nella nostra mente come se li guardassimo dall’esterno, senza cercare di allontanarli o eliminarli.

In silenzio, guardiamo i pensieri scorrere dentro di noi, cerchiamo di capire cosa producono, quali sensazioni suscitano, anche a livello fisico. Proviamo a concentrarci sul corpo, a percepire le tensioni, le contratture.

In questo modo, invece di identificarci con la mente, con il pensiero, con l’emozione, sono colui che guarda da fuori, che osserva senza giudicare. In questo modo, oggettivizzo il pensiero o l’emozione, riesco a differenziarmi dal quel che accade dentro la mia mente.

È quel che si fa anche in psicoterapia quando si usa il metodo delle libere associazioni. Paziente e terapeuta lavorano insieme, indagando pensieri ed emozioni da fuori.

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