Psicoterapia: la relazione che cura
Come sottolinea Irvin Yalom nel volume “Il dono della terapia”, la psicoterapia contemporanea sembra votata alla ricerca di un metodo standardizzato, uno schema pronto all’uso, che possa essere applicato con ogni paziente a prescindere dalla situazione che si trova a vivere, dai sintomi che lamenta e dalle loro cause profonde.
È del tutto comprensibile che i ricercatori tentino di mettere a confronto tra di loro molteplici tecniche e approcci diversi, così da poter capire cosa riesce a determinare cosa funzioni meglio.
Tuttavia, questa tendenza nasconde dei rischi.
Si rischia, infatti, di creare un modello di psicoterapia uniforme, che non tiene in alcun conto l’unicità dell’essere umano ma mira esclusivamente al risultato di attenuare la sofferenza, dare sollievo dai sintomi.
Quasi che stessimo parlando di un farmaco da somministrare a chiunque e da cui ci si aspetta sempre i medesimi effetti, così come indicati nel foglietto illustrativo.
La psicoterapia, però, non ha nulla a che vedere con questo.
Non è qualcosa di piatto e ripetitivo.
Non si tratta di un percorrere una strada già tracciata, seguendo un itinerario che ci porterà esattamente dove vogliamo. La psicoterapia, piuttosto, è un viaggio di scoperta lungo rotte inesplorate, affiancati da qualcuno di cui ci fidiamo.
Alla base di tutto questo l’incontro tra due individui, il paziente e il terapeuta, che instaurano una relazione fondata su tre elementi cardine:
- l’autenticità
- l’accettazione positiva incondizionata e non giudicante
- la spontaneità
Senza questi presupposti, il lavoro terapeutico non può funzionare.
In nome dell’unicità, contro le terapie standardizzate
Se, dunque, la ricerca di un modello univoco di psicoterapia – diremmo universale – porta con sé il rischio di un totale appiattimento della pratica terapeutica, qual è la soluzione?
Partendo dal presupposto fondamentale che ciascuno di noi è unico e irripetibile, Yalom si propone di ideare qualcosa di altrettanto unico: una terapia su misura per ogni paziente, modellata sul singolo caso.
Come fare?
L’aspetto fondamentale è che il terapeuta deve riuscire a far comprendere al paziente che il percorso si costruisce passo dopo passo, affrontando insieme il viaggio.
Ciò che permette di superare il disagio emotivo, ma anche di creare un cambiamento significativo che produce un maggiore benessere, un’esistenza più piena e appagante è il rapporto tra paziente e terapeuta.
È all’interno di questo rapporto, nello scambio continuo, nel dialogo tra paziente e terapeuta che nascono le tecniche.
Non è possibile programmare in anticipo cosa avverrà nel corso di una seduta, prevedere se ci saranno passi avanti o se si arriverà a un vicolo cieco, se si incontreranno resistenze o si otterrà un’improvvisa illuminazione…
Siamo dentro un flusso dinamico, non lineare, imprevedibile.
Unico come l’individuo che lo affronta.
Un esempio concreto
Per farci capire cosa intende quando parla di psicoterapia non standardizzata, che aderisce alla realtà del singolo individuo, Yalom propone un caso a cui ha lavorato tempo addietro, proprio seguendo i principi che abbiamo appena enunciato.
Si tratta del caso di una paziente che, un giorno, si presentò in seduta in dopo aver ricevuto una notizia drammatica, che l’aveva gettata in uno stato di profonda tristezza e prostrazione: suo padre era appena morto.
La donna, purtroppo, stava già attraversando un periodo difficile a causa della scomparsa prematura del marito, venuto a mancare pochi mesi prima.
Questo nuovo lutto l’aveva completamente distrutta.
Sentiva di non avere le forze per affrontare il funerale. Allo stesso tempo, però, l’idea di non presentarsi al rito funebre genera in lei un profondo senso di colpa.
Un tormento sordo che acuisce il suo dolore.
Per aiutarla, Yalom decide di intervenire in modo diretto.
Quello che fa non sta scritto su alcun manuale, non è previsto in nessun protocollo standardizzato di psicoterapia, ma è frutto dell’osservazione e dell’ascolto, del rapporto che si crea all’interno della stanza di terapia.
Cosa fa?
Ordina alla paziente di non presentarsi al funerale, fissando il loro prossimo incontro proprio nella data e nell’ora in cui si terrà la cerimonia.
Questo “stratagemma” ha lo scopo di alleviare il senso di colpa che grava la donna, concedendole lo spazio e il tempo necessari a elaborare il lutto.
La seduta successiva, infatti, viene completamente dedicata ai ricordi del padre con la donna.
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