Prima di intraprendere una psicoterapia, è normale e del tutto legittimo informarsi.

In molti fanno ricerche, cercando di districarsi tra i diversi orientamenti terapeutici e approcci esistenti, chiedendosi magari quale possa essere quello più indicato per trattare il disturbo di cui soffrono, che si tratti di ansia, stress, problemi psicosomatici o altro.

Ai giorni nostri, online si trova davvero di tutto. Siti e blog sono pieni di articoli dedicati a spiegare le caratteristiche della terapia individuale e di quella di gruppo, a illustrare tecniche di intervento particolari come lo psicodramma, ad approfondire dinamiche inconsce e meccanismi di difesa che possono rendere il percorso più o meno accidentato.

Tuttavia, spesso ci si dimentica di sottolineare quale sia davvero lo strumento più potente ed efficace in terapia:

il terapeuta stesso.

Non dobbiamo mai dimenticare che la psicoterapia è un viaggio che facciamo dentro noi stessi accompagnati da qualcuno che ha già percorso quel sentiero.

Il terapeuta, infatti, è qualcuno che è sceso nelle profondità di sé per entrare in contatto diretto e profondo con il proprio lato oscuro, guardare in faccia i propri demoni e familiarizzare con ciò che giace al di sotto della soglia della coscienza.

L’importanza della terapia personale e dell’autoanalisi per un terapeuta

 

Secondo il grande terapeuta Irvin Yalom, la psicoterapia personale è la parte più importante della formazione di un terapeuta.

È questo percorso di autoanalisi ciò che permette al professionista di sviluppare la capacità di immedesimarsi, di empatizzare con l’altro, comprendendone desideri e pulsioni e stringendo con lui o lei una relazione davvero intima.

Sottoporsi a un psicoterapia personale è fondamentale per poter essere poi in grado di aiutare, sostenere e guidare i pazienti, dando loro un esempio vivo.

Perché?

Perché significa sperimentare il processo terapeutico in prima persona, provarlo sulla propria pelle, assumendo il punto di vista del paziente.

Ciò permette di fare esperienza di tutte le dinamiche che entrano in gioco lungo un percorso di psicoterapia come:

  • l’idealizzazione del terapeuta stesso, processo mediante il quale gli si attribuiscono quasi poteri superiori e la capacità di risolvere qualsiasi problema, di guarirci come farebbe un mago o un santone;
  • il desiderio di dipendere dal terapeuta, di delegare a lui o lei tutto quanto il lavoro, evitando l’impegno e la fatica necessari per stare davvero bene;
  • il senso di gratitudine e l’emozione che si prova nel sentirsi, forse per la prima volta, accolti, compresi, ascoltati con attenzione e premura;

 

Stare dall’altra parte, consente quindi di vedersi con gli occhi del paziente e di scoprire anche le trappole in cui un terapeuta non dovrebbe cadere, come il lasciarsi solleticare e sedurre dall’idea di onnipotenza che deriva dall’essere posto su un piedistallo dall’altro.

La terapia personale dovrebbe avere anche questo scopo: lavorare sulle proprie nevrosi e individuare quali sono i punti ciechi, quelle aree in cui non si riesce a vedere bene, per i più vari motivi.

Solo in tal modo si sviluppa la consapevolezza necessaria a stare a fianco dell’altro nel suo viaggio interiore.

Esplorare i diversi approcci in psicoterapia

Nel suo libro “Il dono della terapia”, Yalom si sofferma a lungo sul suo percorso, portandolo come esempio di formazione per coloro che vogliano diventare terapeuti.

La sua prima esperienza di analisi personale la compie durante il periodo di specializzazione in psichiatria, recandosi ben 5 volte a settimana in seduta con uno psicanalista freudiano ortodosso.

Successivamente, incontra professionisti dediti agli approcci più diversi, tra i quali:

  • un analista a indirizzo interpersonale ed esistenziale
  • un terapeuta della Gestalt
  • un terapeuta a orientamento comportamentale
  • un terapeuta bioenergetico

Nel frattempo, sperimenta anche tecniche come il Rolfing (un metodo di lavoro corporeo basato sulla manipolazione diretta di alcuni tessuti per ottenere benefici psico-fisici) e frequenta gruppi di sostegno di diverso genere.

Un simile percorso è caratterizzato dalla volontà di esplorare a 360° il mondo del benessere e della salute psicofisica, con grande apertura e curiosità, senza alcun pregiudizio o remora.

Questo consente al terapeuta di non irrigidirsi su un unico modo di vedere e interpretare la realtà, adottando un’impostazione univoca, che taglia fuori tutte le altre, diventando una sorta di dogma o scatola chiusa, preconfezionata.

È importante, dice Yalom, che il giovane terapeuta eviti il settarismo.

Sperimentare serve proprio a questo: a comprendere quale sia la forza dei diversi approcci, quel che ciascuno può apportare di positivo e benefico, scegliendo quindi se integrarlo all’interno del proprio lavoro.

Sebbene gli studenti dovranno forse sacrificare la certezza che accompagna l’ortodossia, ottengono qualcosa di estremamente prezioso – un maggior apprezzamento della complessità e dell’incertezza che soggiacciono al processo terapeutico” sottolinea Yalom.

Continuare a fare psicoterapia

Un terapeuta non dovrebbe mai smettere di andare in terapia.

O meglio, dovrebbe tornare a percorrere le proprie strade interiori in momenti diversi, laddove ne senta la necessità.

Le diverse fasi della vita, infatti, ci pongono di fronte nuovi problemi e sfide, che non possiamo sempre affrontare da soli.

Confrontarsi con un collega di maggiore esperienza può essere di grande aiuto per districare alcuni nodi che magari affiorano più avanti, anche quando si è ormai professionisti avviati, con una lunga pratica clinica alle spalle.

Yalom stesso afferma di essersi rivolto a un “buon terapeuta” poco dopo aver cominciato a occuparsi di malati terminali, uomini e donne in fin di vita nonostante la giovane età.

In concomitanza con le prime sedute con quei pazienti, infatti, aveva cominciato a soffrire di una forte ansia al pensiero della morte.

Un’ansia che aveva deciso di esplorare in psicoterapia.

 

Immagine di copertina: Immagine di freepik

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