L’eco degli orrori della guerra nei sintomi dei pazienti
Sono immagini terrificanti quelle che ci arrivano in queste ore dal Vicino Oriente. Città sotto attacco, esplosioni, violenze, torture, stragi, sangue, terrore. È l’eco di una guerra che ha radici lontane nel tempo e che va avanti, tra reciproche rivendicazioni del territorio da parte di Palestinesi e Israeliani, da oltre un secolo.
Siamo tutti sconvolti dall’orrore che vediamo consumarsi di fronte ai nostri occhi.
Un orrore che riemerge nell’angoscia dei pazienti che incontro ogni giorno in studio, nei sintomi che manifestano, nei sogni che mi raccontano, pieni di quel sentimento di paura per il futuro.
Nel corso di una seduta di gruppo che ho condotto di recente, un ragazzo ha parlato della profonda inquietudine che vive per quel che sta accadendo in Palestina. È un giovane ebreo in Italia da tempo, ma ha parenti che risiedono ancora laggiù, in territorio di guerra.
È spaventato, angosciato, prova un senso di pericolo per i suoi cari. Avverte come un’oscurità dalla quale si sente aggredito.
Allo stesso tempo, però, vive un vero e proprio conflitto per la sua condizione “privilegiata”.
Di fronte a tutto questo, che senso ha fare terapia?
Mentre i suoi cugini sono lì sul campo, a impegnarsi per aiutare in un qualche modo, lui è qui, a fare terapia, a occuparsi di sé stesso.
Si sente inutile, come se quello che sta facendo non avesse senso e significato.
Gli altri partecipanti alla terapia di gruppo gli rimandano il fatto che la sofferenza è normale. È del tutto normale e lecito provare sentimenti di questo tipo di fronte alle catastrofi.
Non c’è nulla di patologico.
Questo caso reale mi dà la possibilità di fare alcune riflessioni più generali sul valore della terapia e del lavoro su noi stessi.
Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo
Grandi maestri spirituali come Gandhi e Osho hanno sottolineato nel loro insegnamento un concetto fondamentale: se vuoi cambiare il mondo, devi prima cambiare te stesso.
Nella nostra società materialista, nella nostra cultura, viene spontaneo agire in concreto in risposta a simili situazioni catastrofiche. Si crede che intervenire in concreto sia l’unico modo per reagire, per fare qualcosa.
Ma questo genere di risposta, in verità, rischia soltanto di generare ulteriore conflitto e sofferenza.
Qualsiasi intervento che sia soltanto esteriore in fondo non è utile e risolutivo, anzi.
“Finché berrai di quest’acqua – diceva Gesù alla samaritana nei pressi del pozzo – avrai ancora sete. Solo quando berrai l’acqua che ti darò io non avrai più sete. Perché l’acqua che ti darò io genererà dentro di te una fonte che zampilla verso la vita eterna”.
Con queste parole, il grande maestro spirituale vuole dirci che l’unica pace spirituale che possiamo trovare è all’interno di un cambiamento interiore.
In altre parole, occorre comprendere che dobbiamo essere noi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.
È questo è vero innanzitutto perché nessuno di noi può cambiare l’altro con discorsi o interventi diretti sulla persona.
Dobbiamo metterci in testa che l’altro fa l’altro.
L’unico cambiamento generativo, positivo che possiamo mettere in atto nei confronti del mondo è quello che avviene attraverso la luce della nostra presenza interiore.
Attraverso un percorso di crescita personale, attraverso un percorso di psicoterapia spirituale, infatti, possiamo lavorare sulla nostra consapevolezza, producendo un cambiamento dentro di noi e quindi in quella parte di mondo che noi rappresentiamo.
Lavorare su di sé e diventare portatori di luce
Una volta che avrai raggiunto quel genuino cambiamento, soltanto allora potrai portare quello stesso cambiamento nel mondo.
Potrai intervenire, non in modo diretto, ma portando la tua luce.
Diventerai allora un dispensatore di pace, capace di contaminare decine, centinaia e poi migliaia di persone.
Un cambiamento enorme che sarà partito da un lavoro interiore.
Potrai intervenire sugli altri ma attraverso l’esempio, l’aura, la luminosità, la pace e soprattutto attraverso la consapevolezza che emana dal tuo Sé profondo.
La consapevolezza di cui ti sto parlando non può rimanere su un piano astratto, teorico.
È fondamentale che venga esperita.
Questo può avvenire attraverso tante vie. Un modo è attraverso una psicoterapia di gruppo spirituale.
In un contesto di questo tipo, infatti, è possibile sperimentare su sé stessi la possibilità di far parte di qualcosa di più grande che trascenda, che sia più potente del nostro piccolo Ego, del nostro piccolo Io.
Questo tipo di esperienza profonda e spirituale va a scardinare la falsa convinzione, propria di quelle persone che purtroppo da bambini non si sono sentite accolte dai genitori, di essere separati da tutto il resto.
Quando si cade in questa falsa convinzione, l’Ego cresce e prende il sopravvento.
L’Ego che si sente solo, vulnerabile e impaurito, tende sempre per sua natura a cadere nell’attacco-fuga. Tende, in altre parole, a fare la guerra.
Sentirci parte dell’Uno e del Tutto
Occorre comprendere che una persona consapevole non si identifica in una idea, in un’opinione o in una presa di posizione.
Non si identifica in un falso sé che riguarda un dogma religioso o un’ appartenenza politica.
La consapevolezza profonda ci consente di riconoscerci nell’essere senza forma, nel nostro non avere essenza a priori, nel nostro essere libertà e trascendenza.
Questa consapevolezza allontana dalla religione e avvicina alla spiritualità.
Ti permette di identificarti con l’Essere profondo che non è mai divisivo.
Ti permette di superare l’assetto mentale che tende a vedere differenze e a dividere tutto e tutti.
La consapevolezza con la quale vorrei metterti in contatto è quella che ci permette di sentirci parte dell’Uno, del Tutto.
Una risposta spirituale alla guerra
In una dimensione di questo tipo, il conflitto perde completamente di significato, diviene addirittura ridicolo. Perché quando si raggiunge questo click interiore, questo grado di consapevolezza, attaccare qualcun altro è come attaccare sé stessi.
Riusciamo a comprendere, dunque, perché lavorare sul proprio mondo interiore, svolgere un lavoro spirituale sia lo strumento più efficace per prevenire e risolvere i conflitti di qualsiasi natura.
Non soltanto quelli personali, ma anche quelli internazionali, che si combattono sui campi di battaglia e sulla pelle delle persone.
Il fulcro di tutto è dare una risposta a questo dolore: una risposta interiore e non esterna, spirituale e non pratica.