“Rendi cosciente l’inconscio altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”

Voglio utilizzare questa citazione del grande psicanalista Gustav Jung per introdurre un tema che mi sta molto a cuore e che rappresenta il fulcro intorno al quale ruotano la riflessione psicoanalitica e la pratica terapeutica: l’inconscio e le sue dinamiche nascoste.

In un certo senso, tutta la nostra vita è influenzata da questo genere di dinamiche.

Vediamo insieme di cosa si tratta e in che modo questi schemi mentali riescono a determinare il nostro agire.

Cosa sono le dinamiche inconsce? Gli schemi invisibili che regolano la nostra vita

Le dinamiche inconsce rappresentano dei pattern o schemi di comportamento che mettiamo in atto in modo inconsapevole nel nostro agire quotidiano.

Esse hanno un’impronta su quello che facciamo e diciamo, sul modo in cui entriamo in relazione con gli altri e persino sulla nostra percezione e interpretazione della realtà che ci circonda.

Eppure, noi non ci accorgiamo di nulla.

Queste convinzioni sono talmente radicate dentro di noi, nel profondo, che non siamo in grado di vederle. Siamo all’oscuro di gran parte della nostra vita mentale.

Di fatto, è come se vivessimo con il pilota automatico inserito.

Ma da dove vengono questi pattern comportamentali?

Li apprendiamo durante l’infanzia, sulla base degli stimoli che ci vengono forniti all’interno del nostro primo ambiente di riferimento: la famiglia. Completamente immersi nel nostro nucleo familiare, ci impregniamo e assorbiamo i modelli che ci vengono proposti dai nostri genitori, interiorizzandoli.

Nella maggioranza di casi, parliamo di schemi adattivi, modalità di comportamento funzionali all’ambiente e alle relazioni sociali.

Tuttavia, in altre situazioni, quando siamo esposti a traumi o altre esperienze fortemente negative per il nostro sviluppo (per esempio, assistiamo a violenze e abusi, viviamo degli abbandoni), ci troviamo a far nostri schemi comportamentali completamente disadattivi e disfunzionali, che possono sfociare persino nel patologico.

Purtroppo, accade più spesso di quanto si immagini.

E questo porta con sé conseguenze terribili per la nostra salute mentale. Tali schemi disfunzionali, infatti, portano con sé un disagio profondo, che si manifesta attraverso una vasta gamma di sintomi psicologici.

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Immagine di Freepik

C’è chi avverte gravi difficoltà relazionali che gli impediscono di stringere amicizie durevoli nel tempo o di costruire un rapporto solido con un partner amorevole poiché non ci si sente in grado di entrare in intimità con l’altro.

C’è chi, invece, avverte una forte ansia, che può sfociare negli attacchi di panico.

I segni della sofferenza interiore possono prendere anche la forma di disturbi psicosomatici, malattie che si presentano nel corpo (per esempio, un mal di testa feroce oppure problemi alla schiena) ma hanno origine psicologica.

In verità, quelli che definiamo comunemente disturbi sono tutt’altro.
Sono dei campanelli d’allarme che segnalano la presenza di un problema da prendere in considerazione.

Ci indicano che occorre andare al di là della superficie del visibile, scendere in profondità dentro noi stessi per scoprire cosa non va.

A questo serve la psicoterapia, sia quella individuale che di gruppo, altrettanto efficace e utile soprattutto in alcune specifiche situazioni come i problemi relazionali.

 

Indagare l’inconscio con la psicoterapia

Di solito, quando una persona chiede di poter intraprendere un percorso di psicoterapia, non conosce le cause del suo male. Durante il primo colloquio telefonico oppure in seduta, solitamente racconta i sintomi che sente, il malessere che prova.

Sta al terapeuta, un professionista formato, che ha già fatto esperienza su sé stesso e su numerosi altri pazienti, individuare le dinamiche inconsce sottostanti al disturbo lamentato, aiutando il paziente a raggiungere uno stato di maggiore consapevolezza su di sé.

Quando il paziente arriva a comprendere quali sono gli schemi di pensiero che sono alla base di quel disagio, ecco che acquisisce un grande potere: finalmente riesce a scorgere i fili invisibili che lo muovono e può riuscire a tagliarli, svincolandosi.

Riesce a ritagliarsi uno spazio, un margine d’azione su quella sfera della vita che, fino a quel momento, è rimasta fuori dalla sua portata o meglio fuori dalla portata dell’Io, della sua parte sveglia e consapevole.

Ma la psicoterapia non si limita a essere uno strumento di indagine dell’inconscio.

Modificare le dinamiche inconsce

Attraverso questo percorso, con l’aiuto del terapeuta, il paziente può acquisire lentamente gli strumenti necessari a contrastare e poi modificare quelle dinamiche, agendo su di esse per sostituirle con nuove modalità di pensiero, più funzionali e adattive.

Per usare una metafora, potremmo dire che la psicoterapia funziona come un vaccino, che ci fornisce gli elementi necessari a contrastare gli effetti dannosi di quel virus patogeno che sono le dinamiche inconsce.

Un vaccino, infatti, stimola il nostro sistema immunitario a produrre anticorpi contro virus e batteri che potrebbero infettarci, permettendo al nostro organismo di reagire prontamente quando entra in contatto con potenziali agenti infettivi.

In sostanza, il vaccino ci fa acquisire una consapevolezza biologica, permettendo all’organismo di riconoscere il virus quando questi si presenta alle sue porte.

Se il nostro corpo non avesse già incontrato quel patogeno, non ne avrebbe memoria e non avrebbe gli strumenti per difendersi dalla sua aggressione.

La stessa cosa avviene con la psicoterapia che permette di fare luce sugli schemi nascosti, aiutando il paziente a riconoscere gli automatismi e le ideazioni patogene, invasive come un virus, attivando le strategie necessarie a estrirparle, in modo che non si diffondano e colonizzino la sua esistenza.

Nella stanza di terapia: un esempio di dinamica inconscia patogena

Per capire meglio questo discorso, vorrei portare qui un esempio pratico, un caso clinico ipotetico sul tema delle dinamiche inconsce e dei loro effetti sulla vita delle persone che ne rimangono vittime, intrappolate in schemi ripetuti.

Un giorno, si presenta in studio un paziente che vuole affrontare alcuni problemi di tipo relazionale. Nel corso del colloquio, il terapeuta rivolge alcune domande e sonda il terreno, per riuscire a comprendere meglio la natura del problema.

Via via che procede con il racconto, il paziente descrive una situazione molto deludente dal punto di vista dei rapporti con gli altri. Dice che spesso si sente insoddisfatto delle relazioni che ha, con familiari, amici e con le donne con cui è riuscito a intrecciare una relazione.

Litiga spesso e tende a offendersi a morte per il comportamento di chi lo circonda.

Scavando in profondità, quello che emerge sono due sentimenti dominanti: rabbia e delusione.

Il terapeuta, allora, cerca di indagare ancora di più, cercando di capire quale sia la dinamica inconscia sottostante, che poco dopo viene fuori: in un certo senso, il paziente è profondamente convinto che gli altri debbano comportarsi nei suoi confronti proprio come fa lui con loro.

In sostanza, egli si aspetta un determinato trattamento, affine a quello che riserva agli altri.

Lui è una persona solerte, attenta, sempre pronta a prestare soccorso, ad ascoltare e dare sostegno, a cercare di comprendere i bisogni degli altri per soddisfarli in pieno. E, logicamente, si aspetta che gli altri facciano lo stesso, in contraccambio.

Quando, però, si rende conto che le cose non vanno come vorrebbe, ne rimane profondamente deluso.

È come se dentro di sé avesse un codice morale implicito, che rispetta in toto e che vorrebbe fosse rispettato anche dagli altri, senza capire che non tutti funzioniamo allo stesso modo.

Lo schema che segue è del tutto disfunzionale e deleterio per la sua vita relazionale, che si va sgretolando.

Cosa accade in terapia?

Succede che, seduta dopo seduta, il terapeuta aiuta questo paziente a comprendere che non tutti sottostanno agli stessi principi. Gli altri potrebbero seguire codici e regole diverse dalle sue, ma non per questo meno validi. E probabilmente, nella loro mente, il concetto di relazione, di amicizia, di amore ha un significato diverso da quello che gli dà lui.

Gli altri, per esempio, potrebbero pensare che ognuno ha la responsabilità di sé stesso, che ognuno dovrebbero prendersi cura di sé, senza delegare questo compito agli altri e che lo stare in relazione non significa affatto esserci sempre e comunque, come in una società di mutuo soccorso, ma scambiare esperienze e arricchirsi a vicenda, confrontandosi tra diversi.

È soltanto quando si riconosce lo schema disfunzionale che si può avviare quel processo di cambiamento che porta alla guarigione, rompendo il circolo vizioso della ripetizione ossessiva di un comportamento per adottarne uno nuovo, imparando finalmente nuovi modi per stare in relazione con l’altro.

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